Pesco, «Con Lisbona si rafforza la cooperazione in materia di difesa». L’intervista a Nicoletta Pirozzi, responsabile IAI “Ue, politica e istituzioni” (seconda parte)

Nella prima parte dell’intervista con la professoressa Nicoletta Pirozzi abbiamo parlato della Pesco e degli elementi che la caratterizzano. Vediamo in questa seconda parte le risorse, i fondi e il modello che caratterizza il programma di cooperazione rafforzata.
Professoressa, abbiamo parlato di com’è nata la Pesco e quali sono gli obiettivi principali del progetto. Per quanto riguarda le risorse, invece, sono previsti dei fondi o comunque degli strumenti aggiuntivi per gli Stati membri che daranno concretezza a questi progetti di collaborazione?
Assolutamente sì e aggiungo che la Pesco, da questo punto di vista, è tanto più importante perché si inserisce in un quadro complessivo di strumenti delineato dalla Strategia globale dell’Ue. Ci sono due meccanismi di cui dobbiamo tener conto. Il primo è il Card, ovvero la riunione periodica dei Ministri della Difesa dei diversi Paesi per aggiornarsi sugli sviluppi delle capacità militari a livello nazionale e, se possibile, coordinarsi sulla pianificazione ed evitare possibili sovrapposizioni o duplicazioni dei progetti. L’altro aspetto fondamentale è la creazione, da parte della Commissione, del Fondo europeo della difesa.
Come funziona il fondo?
In precedenza si escludeva che il bilancio dell’Unione europea potesse finanziare qualsiasi tipo di attività che avesse implicazioni nel settore della difesa, invece ora la Commissione si impegna a co-finanziare progetti cooperativi di ricerca portati avanti dagli Stati membri. Sarà interessante capire se i progetti che saranno decisi in ambito Pesco, attraverso la triangolazione tra i meccanismi Pesco, il Card e queste risorse finanziarie, potranno far fare un salto in avanti decisivo nel settore della difesa all’Unione europea.
Come possono essere spese le risorse?
Le risorse vengono prese dal bilancio dell’Unione, sono previste nel prossimo quadro finanziari pluriennale, i progetti però devono essere co-finanziati dagli Stati che decideranno di realizzarli. La cosa interessante è che la Commissione mette fondi significativi – il che dovrebbe funzionare da incentivo -, ma questo finanziamento è attivabile soltanto se si tratta di progetti che coinvolgano almeno tre Stati membri.
Il modello di governance della Pesco è comunque di natura intergovernativa. Secondo lei, non sarebbe auspicabile che ci fosse al vertice l’Alto rappresentante per la politica estera e di difesa?
La Pesco rappresenta un passo avanti, ma ovviamente ancora non possiamo parlare di “comunitarizzazione” del settore della difesa. Si deroga al principio del consenso unanime, le dinamiche però sono ancora saldamente nelle mani degli Stati membri, soprattutto dei principali promotori della Pesco, che sono quelli che oggettivamente hanno le capacità sia finanziarie, sia operative più avanzate rispetto agli altri. Il gruppo di testa formato da Germania, Francia, insieme a Italia e Spagna, probabilmente sarà quello che trainerà il progetto anche in futuro. Allo stesso tempo, però, non va nemmeno sottovalutata l’azione istituzionale, perché l’Alto rappresentante avrà un ruolo fondamentale. Nella gestione poi c’è il ruolo dell’Agenzia europea della difesa – un’agenzia di tipo intergovernativo che dovrà verificare se gli impegni presi in ambito Pesco verranno rispettati e assicurare che siano in linea con gli interesse strategici dell’Unione. Ovviamente l’idea di avere un Ministero degli esteri e un Ministero della difesa europei è molto affascinante, però resta un obiettivo di lungo termine. Nelle attuali circostanze, la Pesco è senz’altro interessante dal punto di vista istituzionale: vedremo quello che produrrà dal punto di vista operativo.
Cosa possiamo aspettarci nei prossimi mesi?
Il 2017 è stato un anno importantissimo per la difesa europea, perché a novembre è stata lanciata la Pesco. Ora il periodo di attuazione sarà fondamentale e verificheremo se gli Stati membri manterranno l’impegno politico e daranno seguito in maniera ambiziosa ai diversi progetti. Se così non fosse, anche la Pesco potrebbe rivelarsi un buco nell’acqua. Tutto poi andrà valutato nel medio-lungo periodo, proprio per capire se gli Stati aderenti sono effettivamente seri nel perseguire gli impegni presi o se, invece, non siano stati spinti dalla paura della marginalizzazione.