Ucraina: il conflitto congelato in Donbass

Dopo che il Primo Ministro russo ha definito l’UE un ‘partner inaffidabile, le relazioni si complicano ulteriormente in seguito all’emergere di nuove tensioni in Ucraina. Ma questo è solo l’inizio, l’inizio sì, della fine. Gli scontri armati in Donbass non sembrano volgere al termine e si protraggono da ormai 7 anni. La critica situazione, quasi un’aporia, è radicata in un conflitto risalente, nel quale i diversi attori tentano di espandere la propria sfera di influenza.
Nuove tensioni lungo il confine russo-ucraino
Il Donbass è una regione dell’Ucraina orientale confinante con la Federazione Russa. Dal 2014, a seguito della dichiarazione di indipendenza del Lugansk e del Donetsk, nella regione si assiste al cosiddetto “conflitto congelato” tra la potenza ucraina e quella russa, con l’impiego anche di foreign fighters. La tensione latente è nuovamente esplosa pochi giorni fa, quando la Federazione Russa ha schierato ulteriori truppe lungo la linea di confine ed i separatisti filo-russi hanno violato il cessate il fuoco concordato nel 2020. Tale azione è stata considerata una vera e propria minaccia dal Presidente ucraino Zelensky, tanto che ha richiesto procedure più celeri per l’accesso alla NATO. Non sono tardate le critiche internazionali, e il sostegno che l’UE ha espresso all’Ucraina attraverso un tweet di Josep Borrell.
Per la Federazione Russa invece si tratta di difesa del confine e dei propri cittadini che abitano la regione, dal momento che l’Ucraina ha dato origine ad azioni ‘provocatorie’. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha sottolineato come le azioni russe non rappresentino una minaccia.
Ucraina, perno di due strategie confliggenti
L’Ucraina, Paese membro dell’URSS e con profondi legami storici con l’odierna Russia, riveste un ruolo importante nella strategia putiniana. Nel 2012 entrò in vigore in Russia il trattato istitutivo dell’Unione Eurasiatica, divenuta nel 2015 Unione Economica Eurasiatica (UEE). In questo progetto l’Ucraina avrebbe potuto rappresentare un ponte tra Asia ed Europa tanto sotto il profilo economico quanto strategico/difensivo e storico/culturale.
L’Europa, d’altra parte, tenta di attrarre l’Ucraina nella propria sfera d’influenza attraverso politiche di soft power, quali aiuti economici condizionati, con la prospettiva di una futura adesione all’UE. Questo processo è altamente caldeggiato sia dagli USA che dalla NATO.
Le due strategie confliggenti si delinearono apertamente nel 2013/2014 con Euromaidan. Durante le manifestazioni di piazza a Kiev, si chiedevano le dimissioni del leader filorusso e un avvicinamento alle istituzioni europee. Non è un caso che pochi mesi dopo la Crimea venne annessa alla Russia e due città del Donbass si proclamarono indipendenti: ad azione, reazione.
Possibili risvolti futuri: una Russia sempre più isolata
A poco o a nulla è servita la telefonata della Cancelliera Merkel all’omologo russo; l’8 aprile Putin ha ribadito con fermezza l’intenzione di non smilitarizzare il confine, fintanto che l’Ucraina si mostrerà aggressiva. Berlino e Mosca restano legate dal gasdotto in costruzione North Stream 2, che scricchiola sotto il peso della vicenda Navalny ed i recenti avvenimenti in Donbass: l’opinione pubblica, la NATO e l’UE dichiarano ormai apertamente la loro avversità al progetto.
Dall’altra parte dell’Atlantico il Pentagono conta di inviare navi da guerra nel Mar Nero, in supporto all’Ucraina. Tale azione violerebbe la convenzione di Montreux del 1936 che prevedeva per i Paesi non rivieraschi una permanenza massima di 21 giorni, una capacità limitata di tonnellaggio e l’obbligo di informare preventivamente il governo turco.
Ma che atteggiamento assume la Turchia? Il Governo di Ankara tramite la costruzione del canale di Istanbul sembra voler derogare gli effetti della convenzione e avocare a sé il potere decisionale sui requisiti delle navi e la loro permanenza nel Mar Nero. Significativo è l’incontro dell’11 aprile tra Erdogan e Zelensky, dove viene ribadita l’alleanza tra i due Paesi.
E mentre in Donbass continuano gli scontri armati tra separatisti e ucraini, la Russia sembra allontanarsi dall’iniziale vocazione putiniana euro-eurasista, e volgere lo sguardo a partner orientali ritenuti per il momento più “affidabili”.