Interviste

L’Europa batta un colpo: verso quale tornante della storia stiamo andando? Intervista al prof. Giorgio Giraudi

Docente di Organizzazione politica europea, Governance e politiche dell’UE presso l’Università della Calabria. Politologo e ricercatore di integrazione europea e politiche comunitarie, populismo, complottismo, polarizzazione e radicalizzazione dei sistemi politici e Big data, Giorgio Giraudi è autore di diversi saggi sul tema.
Con questa intervista al Prof. Giraudi si è voluto porre l’attenzione su quale potrebbe essere il futuro prossimo dell’Unione Europea. Un’Unione che, costantemente, viene messa alla prova partendo dalla drammatica situazione pandemica, al fenomeno dell’euroscetticismo che colpisce gli Stati Membri tanto quanto le giovani generazioni. I leader europei e nazionali, si stanno muovendo affinché vengano adottate politiche straordinarie di una portata ad oggi sconosciuta volte a risollevare l’Europa e farla uscire più forte e più solidale e coordinata di prima.

Nel Consiglio Europeo del 25/26 febbraio scorso, è arrivato un primo sì in merito all’introduzione, entro l’estate, del “Digital Green Pass”. A tal proposito è intervenuta la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, su Twitter: «L’obiettivo è certificare le persone che sono state vaccinate, i risultati dei test e di quanti non hanno ancora potuto ottenere un vaccino, e avere informazioni sulla ripresa dal COVID19. Rispetterà la protezione dei dati, la sicurezza e la privacy», assicura. Ha poi evidenziato come, il passaporto, faciliterà la vita degli europei permettendogli, gradualmente, di muoversi in sicurezza nell’Ue o all’estero, per lavoro o turismo. Lei che idea si è fatto su tale proposta legislativa avanzata dalla Commissione Europea? 

È stata tanta la preoccupazione sollevata in merito al Digital Green Pass, considerato da alcuni, potenzialmente lesivo del diritto alla protezione dei dati personali. C’è stato un intervento da parte del garante italiano per la privacy ma entro i termini della richiesta di una normativa nazionale che ne determini e chiarisca le procedure di applicazione nonché i soggetti certificatori e le responsabilità da imputare.
Sono due le problematiche su cui dovrà, necessariamente, esser fatta chiarezza da qui sino a quando il passaporto vaccinale diventerà una realtà. A quale autorità sarà demandata la facoltà di rilasciare il test negativo e l’individuazione di quali servizi potranno essere più o meno garantiti a seconda se si sia in possesso o non del Digital Green Pass. Se si pensasse di concepire tale documento come un requisito di accesso, per il cittadino, ai servizi, allora vorrà dire che il DGP dovrà essere prodotto dinanzi ai privati e ciò implicherà, inevitabilmente, un transito dei dati personali a tali soggetti. Sembra che si viva in un’epoca della sfiducia verso le istituzioni che non aiuta nella ricerca di soluzioni comuni. Si è scatenato un liberalismo malinteso; al giorno d’oggi, stando su internet cediamo, costantemente, molte informazioni sensibili ai soggetti privati pronti ad utilizzarli per finalità economiche e di profitto ed invece, appena si parla di una raccolta di dati e di un controllo, compiuti da un soggetto pubblico internazionale o sovranazionale, come quello dell’Unione Europea, allora gridiamo all’attacco delle libertà.

L’Europa non ha avuto bisogno di guerre per affermarsi; è nata pacificamente salvaguardando la pace per oltre 60 anni. Oggi la situazione è ben diversa, a prevalere sembrano essere le insicurezze e la sfiducia reciproca tra gli Stati membri, crescono i movimenti populisti e le forze estremiste. Come uscire da questa crisi e superare lo scetticismo che la invade? 

Nonostante gli ultimi tempi abbiano visto una crescita di gruppi euroscettici e neo-sovranisti, si deve inquadrare la situazione in una dimensione relativa. Nelle ultime elezioni europee nonostante si temesse un tracollo dei partiti storici ed europeisti, in realtà, abbiamo assistito ad una loro sostanziale tenuta. Oggi, almeno all’interno del Parlamento Europeo, i gruppi dei partiti apertamente euroscettici non hanno la capacità di influenzare in modo decisivo il funzionamento istituzionale.
Sul piano della libertà, l’Unione è messa piuttosto bene; basti guardare al processo dell’integrazione europea legato, da sempre, alle 4 libertà fondamentali. O ancora al grande passo verso una più sentita sensibilità della garanzia dei diritti, sia di quelli tradizionali che di quelli di nuova generazione e di carattere ambientalista. Va ricordato, infine, l’istituto della cittadinanza europea data la moltitudine di diritti e di libertà che ci riconosce e che senza la quale non avremmo.
Circa la questione della rappresentanza politica e del contare all’interno dei processi decisionali, se è vero che esistono le elezioni europee dal 1979, si tratta però di elezioni caratterizzate da una scarsa partecipazione; è come se la “posta in palio” non sia percepita ancora come particolarmente importante. La Commissione, oggi, sembra esser diventata un “ibrido”: da una parte si dimostra un soggetto indipendente, terzo e tecnocratico che dovrebbe portare avanti il solo interesse europeo ma dall’altra, invece, è legata – per la logica dell’elezione del suo Presidente – al PE assumendo, così, quella connotazione più politica e spesso contestata da alcuni Paesi Membri.
Tutte contraddizioni che contribuiscono, sicuramente, ad alimentare tensioni e rivendicazioni ed è per questo che bisognerebbe cercare di andare verso la costruzione di un nuovo modello di governance che riesca a sciogliere questi nodi di ambiguità.

Rimanendo su questo tema, come pensa che si possa ricreare la fiducia dei cittadini europei più giovani in particolare? 

Ci troviamo in un’epoca in cui sembra di trovarci in uno dei tornanti della storia nei quali le differenze intergenerazionali sono molto ampie. Esempi piccoli ma significativi, possono essere considerate le mega risse che si sono viste, tra i giovanissimi, sintomo di un bisogno di sfogare le proprie frustrazioni in maniera violenta, volendo quasi cercare il caos. È una frattura intergenerazionale profonda e che ci racconta di giovani assaliti da momenti di crisi perché non riescono ad andare avanti e a vedere dinanzi a sé un futuro. Alla luce di ciò, l’elemento che possa aiutarli a proiettarsi verso un futuro è l’acquisizione di una sicurezza economico-lavorativa; l’Unione Europea deve, pertanto varare, al più presto, un grande piano per rilanciare e creare lavoro tra i giovani e i giovanissimi.

Due grandi avvenimenti hanno scosso la già fragile situazione europea a partire dall’Ungheria; di fatto la dichiarazione dello Stato di emergenza ha portato Orban, con una mozione parlamentare, votata a larghissima maggioranza dal parlamento ungherese, ad evocare tutti i poteri speciali per gestire l’emergenza Covid; si tratta di una situazione inedita per un Paese dell’UE. Come vede, o interpreta, questo progressivo allontanamento dell’Ungheria da una tradizione di stampo liberale ed europeo? 

Viktor Orban, leader che guida ormai da decenni il Paese, può essere considerato un populista-nazionalista alla luce del tipo di politica adottata verso un popolo tendenzialmente omogeneo da contrapporre all’elite usurpatrici del potere; ha, cioè, avuto la capacità di individuare e di fornire, all’opinione pubblica ungherese, sempre dei nemici nuovi.
Esaurita la questione della “liberazione” sovietica, Orban, si sposta, verso il mondo occidentale e del liberalismo economico dell’Unione Europea e della NATO; è qui che fa come secondo nemico la crisi migratoria riuscendo a costruire una politica nazionalista e sovranista contro lo straniero e il diverso. Prossimi potenziali nemici, rimasero l’UE con il suo liberalismo occidentale e il multiculturalismo; questo ragionamento spiega le successive linee adottate in contrasto con un simile contesto che i politologi definirebbero di Democratic backsliding. Anche le minoranze sessuali legate all’LGBT sembrano essere diventate soggetti preferenziali di attacchi e di propaganda. Orban si presenta e vuole essere riconosciuto come leader in pectore di quell’internazionale euroscettica in rappresentanza di una nuova via dei sovranismi anche in Europa; questo elemento, indubbiamente, lo inserisce in una fase di scontro con le istituzioni e i partiti europeisti. Notizia di qualche settimana fa, non a caso, è stata l’uscita di FIDESZ dal PPE.

L’orizzonte europeo, oggi più che mai, sta cambiando profondamente cercando di attenuare, per quanto possibile, gli effetti della crisi economica globale ormai alle porte. Bombe mediatiche e testate giornalistiche ci hanno restituito l’immagine di un’Europa divisa tra gli Stati creditori del Nord e i debitori del Sud, ribattezzati rispettivamente come i Falchi e le Colombe e che sembra allontanarci da quell’ “unione sempre più stretta tra i popoli europei”. In qualità di politologo, professore e ricercatore sull’integrazione europea e le politiche comunitarie, quale scenario ci propone e come se lo immagina un prossimo futuro europeo? 

Si assisterà ad un rallentamento della globalizzazione in vista di una segmentazione in aree preferenziali commerciali. Entro questo scenario, multipolare o addirittura bipolare, l’UE sarà chiamata a prendere di volta in volta posizione con il rischio di scatenare tensioni tra i suoi stessi paesi membri che hanno spesso interessi divergenti. Intanto, Angela Merkel che, all’indomani della crisi finanziaria 2007-2008 aveva, fermamente, rifiutato l’introduzione degli Eurobond e della creazione di una possibile comunitarizzazione del debito, oggi la ritroviamo alleata con Macron nello storico asse franco-tedesco. La ragione di questo sostanziale cambio di sensibilità dell’opinione pubblica tedesca, a favore di una solidarietà risiederebbe in un pragmatismo economico, a cui si aggiungerebbe l’acquisizione della consapevolezza della grande portata pandemica.
Se alla creazione del primo debito comune prodotto dalla Commissione e garantito in solido da tutti gli stati membri non seguiranno, virtuose e singole, capacità di implementazione dei piani nazionali, allora la battaglia politica, che sembrava esser stata vinta dagli europeisti si rivelerà esser fallimentare. Una situazione che porterà, nel caso peggiore, al rafforzamento di quella logica intergovernativa schiacciando quella sovranazionale: la solidarietà europea riceverà un colpo drammatico che la paralizzerà per i prossimi decenni. Se invece, dal Recovery Fund, nasceranno progetti credibili e capaci di produrre sviluppo reale, allora la decisione di creare l’EU Next Generation sarà vissuta come una vittoria e questo strumento potrà entrare a far parte, stabilmente, della cassetta degli attrezzi utili all’Unione nella dimensione di perequazione.

Martina Cassano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *