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La rotta balcanica: la via d’accesso all’Europa

La rotta balcanica è ormai da anni il luogo di una vera tragedia umanitaria, dove migliaia di migranti vivono in condizioni disumane alle porte del vecchio continente, in situazioni estreme e violente. Questa rotta non è un fenomeno nuovo, ma trova la sua origine qualche decennio fa, in quanto veniva utilizzata per la fuga di coloro che scappavano da contesti di guerra del Medio Oriente. Cosa sta accadendo nel cuore dell’Unione Europea?

Il percorso della rotta balcanica

Era il 2015, la guerra in Siria non accennava a smorzarsi ed in questo clima migliaia di persone partirono alla volta dell’Europa. Non erano solamente i siriani a seguire la rotta dei Balcani, ma anche molti iracheni ed afghani in fuga dai loro Paesi. Dal 2015 la rotta balcanica è tornata in auge, percorso già noto alla cronaca dagli anni Novanta, quale principale via di accesso all’Europa. In migliaia arrivarono per mesi nell’Unione attraversando nazioni come la Grecia, Serbia, Croazia, convertendo in brevissimo tempo questi luoghi in un corridoio monitorato e legalizzato, lungo il quale sono stati costruiti veri e propri campi profughi, di fortuna. La tratta seguita prevede il passaggio lineare tra Grecia, Macedonia e Serbia, ma è proprio nell’ultimo paese che sorgono le maggiori difficoltà, da quando nel 2016 ed il 2017 il presidente ungherese Orbán ha posto una difesa militare per evitare passaggi al confine.  Una volta arrivati a Belgrado molti rifugiati tentarono di varcare il confine europeo tramite l’Ungheria, ma qui si scontrarono con la dura repressione ordinata dal leader del Fidesz Victor Orban, che usò lacrimogeni e muri di filo spinato per bloccarli.  Anche in Croazia e in Italia la costruzione di «muri» è stata al centro del dibattito. Il confine croato è insuperabile, poiché i migranti vengono facilmente individuati e riportati indietro. Perciò la strada più semplice e priva di ostacoli attualmente è la Bosnia. In Serbia diversamente è stato messo in piedi un sistema di gestione della situazione migratoria, grazie soprattutto alla riesumazione di un commissariato per i rifugiati, utilizzato già negli anni Novanta con la guerra in Jugoslavia e sottoposto al controllo delle agenzie internazionali come l’Ue, IOM e Unhcr. Anche il piano d’azione comune UE-Turchia avviato il 29 novembre 2015 e la dichiarazione UE-Turchia del 7 marzo 2016, hanno reso ancora più complesso e pericoloso il viaggio. La Germania di Angela Merkel ha invece offerto, tra il 2015 e il 2016, asilo a circa 1,2 milioni di rifugiati. Nei Balcani, intanto gli anni passano e i profughi sono ancora lì, e continuano a bussare alle porte dell’Unione Europea.

Rotta balcanica: i campi in Bosnia Erzegovina

Lo scorso 23 dicembre 2020 il campo profughi di Lipa, in Bosnia Erzegovina è saltato agli onori di cronaca a causa di un violento incendio che ha colpito e raso al suolo l’intero campo, provocando un disastro a livello umanitario inimmaginabile, proprio alle porte dell’Europa. Dopo le fiamme è stata la volta del gelo e la neve, aggravando le già terribili condizioni in cui versano migliaia di migranti intrappolati nel cantone di Una Sana, Bosnia-Erzegovina nord-occidentale, tappa obbligata per il passaggio dei rifugiati in Croazia.
Daniele Bombardi, coordinatore della Caritas italiana nei Balcani, racconta la situazione dei migranti bloccati al freddo nei campi profughi della Rotta Balcanica. Per comprendere la gravità di quello che sta succedendo da diversi anni nei paesi dei Balcani, dobbiamo guardare alla situazione nel suo insieme: «sono quattro milioni i rifugiati in Turchia, dove la rotta inizia. In Grecia ne sono bloccate centomila. In Serbia ottomila e in Bosnia Erzegovina quasi 8400». La situazione chiaramente è andata a complicare un quadro già per sé disastrato, soprattutto nell’area del cantone di Una-Sana, dove si trova la concentrazione più elevata di migranti. L’UNHCR insieme all’ONU è allarmata e preoccupata per il modo in cui vivono questi migranti, soprattutto dopo l’incendio, passando l’inverno in alloggi di fortuna, nel bosco, tra la neve. L’UNHCR chiede «ulteriori sforzi da parte delle autorità in tutto il Paese e ribadisce il suo impegno a continuare a sostenerle nel fornire migliori condizioni di accoglienza e servizi efficienti, compreso l’accesso alla procedura di asilo, per le persone che necessitano di protezione internazionale».

La visita della commissaria Ue in Bosnia

Lo scorso 18 febbraio la commissaria europea per gli Interni, Ylva Johansson, è andata in visita nelle zone della Bosnia-Erzegovina e Albania per verificare sul campo la situazione attuale dei migranti al confine con Grecia e Croazia. La commissaria ha incontrato i membri della presidenza, il presidente del Consiglio dei ministri ed il ministro Bozinovic, ed ha visitato, insieme ai rappresentanti dell’OIM, Organizzazione Internazionale per la Migrazione ed altre agenzie delle Nazione Unite il campo simbolo di Lipa, nel cantone del Una-Sana. Bosnia ed Erzegovina ospitano 8.000 tra migranti e rifugiati. In quest’area numerosi sono i migranti che vivono in strutture finanziate dall’Ue soprattutto nei cantoni di Sarajevo e proprio nel Una-Sana. Anche lo scorso dicembre l’Unione ha sostenuto la creazione di un campo provvisorio dopo l’incendio presso il sito di Lipa, fornendo anche tutto il necessario dagli indumenti, coperte e assistenza medica. La commissaria si è recata infine anche al valico di frontiera di Kakavia con la Grecia, per controllare l’operazione congiunta di frontiera Frontex-Albania. In tema anche dell’attuale crisi pandemica ha opportunamente controllato anche un progetto finanziato dall’Ue il quale fornisce equipaggiamento protettivo Covid-19 per i migranti.

Benedetta Gagliassi

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