Relazioni esterne

Vučić a Bruxelles: quali prospettive per una Serbia europea?

Lo scorso 26 aprile il Presidente della Repubblica di Serbia, Aleksandar Vučić, si è recato a Bruxelles per partecipare ad un incontro con la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. Al centro di questa riunione ci sono stati vari temi, tutti centrali allo sviluppo della vicenda legata all’ingresso della Serbia nell’Unione Europea o quantomeno all’accelerazione del processo di sviluppo del Paese in una prospettiva genuinamente europea.

Per meglio comprendere gli argomenti discussi in questo incontro, l’ultimo di una lunga serie, risulta opportuno approfondire in maniera sintetica quali siano le vicende storiche e politiche che hanno dato inizio al cammino di avvicinamento della Serbia verso la realtà comunitaria europea.

La Serbia tra conflitto e rinnovamento

La Serbia, come parte di una esperienza federale, ha giocato un ruolo sempre più importante nell’area dei Balcani soprattutto a partire dal 1989 con l’ascesa al potere di Slobodan Milošević. Il famoso discorso della Piana dei Merli del 28 giugno 1989 rappresenta il punto di partenza di una degradante spirale di violenza nazionalista, la quale trascinerà l’intera Jugoslavia nell’infame serie di conflitti fratricidi che hanno interessato la zona proprio negli anni Novanta dello scorso secolo e che hanno messo fine all’esperienza federale jugoslava.
Agli inizi del nuovo millennio, però, il clima interno alla Serbia non era più favorevole a Milošević. Il processo centripeto a cui il leader nazionalista aveva dato inizio con modifiche del testo costituzionale già dal 1989 generò malcontento e portò alla formazione di nuovi partiti ad indirizzo democratico raggruppati nella DOS, l’Opposizione Democratica Serba. Dimostrazione di questo malcontento generalizzato e testimonianza di una ormai irresistibile spinta democratizzante fu il risultato delle elezioni del 24 settembre del 2000 che videro l’ascesa del candidato della DOS, Koštunica, a nuovo Presidente. Nonostante questo processo di rinnovamento istituzionale, però, la Serbia restava un Paese lacerato dalla guerra e dalle sanzioni internazionali.
Altro problema centrale per la Serbia post Milošević è stato la cesura parziale con il passato. Infatti se da un lato c’è stata una mutazione sostanziale del sistema e del discorso politico serbo, dall’altro non c’è stato un ricambio nell’élite politica nazionale. Per questo vecchi attori del regime autoritario di Milošević si sono reinventati proponendo una nuova immagine di sé, spesso collegata ad una prospettiva europeista.

Il percorso verso l’Unione

In questo scenario la prospettiva europea sembrava la più logica e la più allettante. È bene ricordare come fin dal 2003 la Serbia sia stata considerata un paese candidabile all’entrata nell’Unione Europea. In più nel 2009, dopo la redazione nel 2008 dell’European Partnership for Serbia, è stata presentata la domanda di adesione e nel settembre del 2012 la Serbia ha ottenuto ufficialmente lo status di “Paese candidato”.
Da questo punto in poi è stato portato avanti un processo multilaterale di adeguamento agli standard europei che passasse anche dalla stabilizzazione dell’area geografica dei Balcani, in particolare attraverso lo Stabilisation and Association Agreement (SAA) entrato in vigore tra Serbia e UE nel 2013.
Tutti questi documenti pongono essenzialmente delle condizioni per l’adesione effettiva all’UE e queste sono individuabili in goals come, ad esempio, il rafforzamento delle istituzioni democratiche e dello stato di diritto, sviluppo e stabilità economica e cooperazione regionale.

Lo scontro con la realtà

A più di un decennio di distanza dall’inizio delle procedure di adesione all’Unione, risulta legittimo chiedersi a che punto della discussione ci si trovi. A tal proposito il Serbia 2020 Report, pubblicato dalla Commissione Europea, risulta essere un documento particolarmente significativo. Viene proposta una analisi trasversale della Serbia per quanto riguarda gli sviluppi della vicenda ponendo l’attenzione su vari ambiti istituzionali.
Per quanto riguarda il “criterio politico” la Commissione sottolinea una moderata preparazione dell’apparato pubblico a riforme necessarie a garantire una maggiore trasparenza ed il rispetto del sistema meritocratico nella burocrazia pubblica.
Il Report poi passa ad esaminare anche il sistema giuridico serbo e si sottolinea come ci sia ancora spazio per il progresso e come vi sia la assoluta necessità di risolvere problemi come la limitata indipendenza della magistratura, la corruzione e l’implementazione di un sistema più efficace di tutela dei diritti e di lotta alla criminalità organizzata.
Nonostante questi scogli che rallentano il cammino della Serbia verso l’Unione, la Commissione non manca di riconoscere i grandi progressi fatti soprattutto in ambito economico e per quanto riguarda la capacità di adempiere agli obblighi comunitari.
Altro metro per meglio comprendere lo stato delle cose è senza dubbio l’indice proposto da Freedom House, secondo il quale la Serbia risulta essere una democrazia in transizione a regime parzialmente libero. Questo declassamento è la conseguenza dei gravi problemi sottolineati proprio dalla Commissione come il deterioramento del processo elettorale e le minacce alla libertà di informazione.

Il futuro delle relazioni Ue-Serbia

In conclusione, la questione relativa all’entrata della Serbia di Vučić nell’Unione resta spinosa. Da un lato, infatti, c’è lo sforzo positivo serbo, che ha indubbiamente contribuito all’avvicinamento all’Unione, ma d’altro canto è impossibile ignorare le difficoltà che la Serbia sta avendo nel raggiungere una vera good governance e nel completare il processo di consolidamento del proprio regime democratico. Gli argomenti dell’incontro tra Vucic e la von der Leyen ne sono la dimostrazione.
L’ingresso nell’Unione Europea resta uno degli obbiettivi strategici del governo Vucic ma c’è da considerare anche un altro aspetto che emerge dal Serbia 2020 Report, ovvero quello dei contatti con Russia e Cina. In merito a questo movimento oscillatorio tra est e ovest, la Commissione sottolinea il doppio fronte su cui la Serbia si sta spendendo. In prospettiva, questo aspetto potrebbe minare il progetto di integrazione europeo e assume una rilevanza non indifferente soprattutto in questo periodo di emergenza sanitaria globale.
Questi innumerevoli elementi di resistenza all’integrazione europea serba hanno rallentato un processo che nella maggior parte dei casi risulta essere piuttosto lineare e contribuiscono alla genesi di dubbi in merito a quella che potrebbe essere la vera natura della relazione che lega l’Unione Europea alla Serbia.

Giovanni Costantino Aloia

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