Intervista al Prof. Sandro Guerrieri: “L’integrazione Europea è nata sulla base della premessa che la salvaguardia della pace mondiale richiedeva ‘sforzi Creatori’”: siamo pronti a un nuovo Allargamento?
Sulla base dei recenti avvenimenti, in particolare sulla questione del conflitto russo-ucraino, e ricordando le prima fasi del processo di integrazione europea, abbiamo chiesto al prof. Sandro Guerrieri, docente di Storia delle istituzioni politiche italiane ed europee, presso il Dipartimento di Scienze politiche della Sapienza Università di Roma, quali saranno gli scenari futuri di un possibile allargamento europeo.
Partendo da una prospettiva storica, in che modo la grande integrazione del 2004 ha avuto conseguenze sull’Unione Europea?
La dialettica tra approfondimento e allargamento costituisce uno dei tratti distintivi della costruzione europea. L’obiettivo di porre le “fondamenta di un’unione sempre più stretta tra i popoli europei”, secondo quanto proclamato dal Trattato istitutivo della Comunità economica europea del 1957, si è accompagnato, fin dalle origini, a quello di rendere tale unione aperta ad altre nazioni, tanto che nello stesso Trattato i sei paesi fondatori, già firmatari del Trattato CECA del 1951, facevano appello “agli altri popoli d’Europa” affinché si associassero “al loro sforzo”. A partire dal 1973, la Comunità si è progressivamente allargata, con procedure e dinamiche che peraltro hanno spesso richiesto tempi assai lunghi. Lo scenario, in ogni caso, era quello della guerra fredda, che stabiliva una precisa linea di demarcazione tra l’Europa occidentale e quella orientale. La fine del “secolo breve”, con il crollo del Muro di Berlino e la successiva dissoluzione dell’Unione Sovietica, ha cambiato completamente i termini della questione. I paesi dell’ex blocco sovietico hanno chiesto di entrare nell’Unione (oltre che nella NATO), che ha così dovuto far fronte a un allargamento senza precedenti. Il numero dei paesi membri è salito a 25 nel 2004, a 27 nel 2007 e a 28 nel 2013, per poi tornare a 27 in quanto il Regno Unito ha ritenuto che la Union Jack non potesse più convivere con la bandiera a 12 stelle. Un allargamento di questa portata ha reso più complesso il sistema decisionale e moltiplicato i punti di vista riguardo alle politiche dell’Unione.
Alla luce di questo, l’inclusione dell’Ucraina potrebbe avere un risvolto in termini di rafforzamento della coesione europea o continuerebbe il processo di deterioramento iniziato con la Brexit, tenuto conto anche della possibilità di un processo accelerato, senza tutte le misure di verifica?
Nel 1993, l’Unione europea stabilì, al vertice europeo di Copenaghen, una serie di criteri per l’adesione che investivano non solo la dimensione economica (l’adeguamento all’economia di mercato e la capacità di assorbire la normativa comunitaria) ma anche quella politica (la presenza di istituzioni democratiche, il rispetto dello Stato di diritto e la tutela delle minoranze). Non tutti i paesi che hanno aderito all’Unione rispettano oggi pienamente queste condizioni: la Polonia e l’Ungheria hanno assunto comportamenti tutt’altro che coerenti rispetto all’identità dell’Unione come spazio dei diritti. Questo precedente dovrebbe indurre a una certa cautela. E’ vero che per i paesi del Sud dell’Europa che negli anni Settanta sono usciti da regimi autoritari (la Spagna – dove ancora nel 1981 ebbe luogo un tentativo di colpo di Stato – il Portogallo e la Grecia) l’ingresso nell’Unione è servito a consolidare i rispettivi regimi democratici, ma non è detto che questa sia una regola generale. In un’Unione a 35 o più membri, come quella che risulterebbe dall’ingresso di Ucraina, Georgia e Moldavia da una parte e dei paesi dei Balcani occidentali dall’altra, i rischi di un indebolimento delle regole europee in materia di salvaguardia dei diritti sarebbero più pronunciati. C’è poi la questione che se è già difficile il governo di un’Unione a 27, è difficile scommettere che le cose migliorino con otto paesi in più. Giustamente, a mio avviso, il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato della possibilità dell’edificazione di un cerchio più vasto rispetto all’Unione: una comunità politica di tipo confederale che possa ospitare gli attuali paesi candidati ed eventualmente recuperare il Regno Unito, qualora non disdegnasse di ristabilire un legame istituzionale con l’Europa continentale.
A livello estero invece che piega prenderebbe questo allargamento? In che modo si modificherebbero i rapporti Russia/UE o Stati Uniti/UE?
L’impatto che l’allargamento avrebbe sui rapporti tra l’UE e la Russia dipenderebbe molto dall’evoluzione dell’attuale conflitto provocato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa. Un altro fattore determinante sarebbe il grado di sviluppo della cooperazione europea in materia di difesa. Va inoltre ricordato che il Trattato di Lisbona ha introdotto la clausola di difesa reciproca, in virtù del quale i paesi dell’Unione sono tenuti a prestare aiuto e assistenza a un paese oggetto di un’aggressione armata sul proprio territorio. E’ chiaro che se l’allargamento avvenisse nel quadro di una rinnovata struttura di sicurezza paneuropea, si ridurrebbe il rischio che esso possa accentuare, in prospettiva, una dinamica di conflittualità permanente con la Federazione russa. Per quanto riguarda il rapporto con gli Stati Uniti, un’Unione europea allargata che fosse dotata di un elevato grado di coesione sarebbe un interlocutore più forte. Ma non c’è nessuna garanzia che questa coesione si manifesti. Di qui, appunto, l’idea di costruire, con una struttura confederale, un cerchio esterno all’Unione che consenta a quest’ultima di non indebolirsi. Non è affatto detto tuttavia che i paesi candidati accettino questa soluzione. La proposta di una confederazione fu già lanciata all’indomani del crollo del muro di Berlino dal presidente francese François Mitterrand, ma fu male accolta dai paesi dell’Europa centrorientale, che volevano entrare direttamente nella Comunità/Unione. Le prime reazioni alla proposta di Macron fanno capire che la storia potrebbe ripetersi.
Sarebbe possibile la creazione di una sorta di “blocco europeo” compatto, che permetta all’unione di essere maggiormente autonoma rispetto agli Stati Uniti e all’alleanza Russo-cinese?
La creazione di un blocco più compatto sarebbe possibile, ma con tutta probabilità in un’Unione a diverse velocità. È inverosimile pensare che l’attuale Unione a 27 sia in grado di marciare unita nella direzione di una più forte identità politica. Sarebbe auspicabile la formazione, all’interno dell’Unione, di un nucleo più coeso, a vocazione federale, aperto naturalmente a tutti i paesi che intendono condividere obiettivi ambiziosi. L’Unione deve dotarsi di un’anima politica più vitale, che consenta anche di impostare le relazioni transatlantiche in una chiave che non di rado necessita di forme più dialettiche. Ricordo che nel 2003, quando gli Stati Uniti e il Regno Unito decisero l’intervento militare in Iraq sulla base di motivazioni pretestuose, la Francia e la Germania vi si opposero in nome di una visione politica diversa da quella dell’Amministrazione Bush. E anche nell’attuale situazione di guerra, l’Unione europea dovrebbe, a mio avviso, accompagnare il necessario sostegno all’Ucraina con una maggiore capacità di promuovere iniziative politico-diplomatiche che portino il più velocemente possibile a un cessate il fuoco. Nel 2012 l’Unione europea non è stata insignita del premio Nobel per la letteratura o di quello per la fisica, ma del premio Nobel per la pace. L’integrazione europea è nata, nel 1950, sulla base della premessa che la salvaguardia della pace mondiale richiedeva “sforzi creatori”. Negli ultimi mesi questa creatività si è un po’ spenta. È ora di darle un nuovo slancio.