L’Europa ha bisogno di un “federalismo pragmatico”
Il 3 maggio 2022 a Strasburgo, durante la seduta plenaria del Parlamento europeo, il Presidente del Consiglio Mario Draghi è intervenuto alla discussione dello stato dell’Unione e il suo futuro.
Sono stati toccati diversi punti e abbiamo avuto il piacere di approfondirne alcuni ascoltando la prospettiva dell’europarlamentare Rosa D’Amato.
Il premier Draghi ha affermato che le istituzioni europee oggi sono inadeguate, che l’Europa ha bisogno di un “federalismo pragmatico” e ideale che abbracci il settore economico, energetico e la sicurezza. Lei cosa pensa di queste affermazioni? È d’accordo con quanto affermato dal premier italiano?
Andando a vedere che cos’è il federalismo pragmatico e il federalismo ideale, la differenza è che nel pragmatico c’è un approccio “top-down”, cioè sono i governi a spingere verso una trasformazione dei trattati delle istituzioni del lavoro fra le istituzioni. Nell’ideale, invece, il rapporto è dal “basso verso l’alto” e alla luce della Conferenza sul “Futuro dell’Europa” che ha dato in 49 raccomandazioni anche quella di essere più partecipativa nei confronti dei cittadini, forse sarebbe meglio parlare di federalismo ideale, quello a cui il mio gruppo appartenente tiene di più. Ciò vorrebbe dire maggiori poteri al Parlamento europeo, unica istituzione eletta direttamente dai cittadini, significherebbe una collaborazione fra parlamenti dei vari Stati membri, anche un potenziamento di quello che è una sorta di referendum europeo. Un esempio è il sistema ICE con cui si può, dal basso, proporre una modifica di una direttiva di un regolamento modificandola e riducendo il numero delle firme per presentarla, obbligando poi alla realizzazione. Parlando della difesa degli animali e del blocco sullo sfruttamento nelle gabbie, le firme dei cittadini hanno visto tanta fatica ad ottenere l’appoggio del Parlamento Europeo e della Commissione. Ciò che più avrebbe senso è la partecipazione dal basso quantomeno della parte rappresentativa, quella dei parlamenti.
L’integrazione europea è la risposta giusta alle diverse crisi che attualmente l’Europa sta affrontando? Il premier afferma che l’Italia è a favore dell’ingresso dei Paesi che hanno richiesto l’adesione, ma l’ingresso di coloro che non soddisfano appieno i requisiti richiesti potrebbe creare problemi interni all’UE?
Sì, potrebbe anche indebolirla. Ci sono dei percorsi di avvicinamento: penso allo stato di diritto, alla divisione dei poteri, inoltre molti stati, ad esempio, hanno il problema della corruzione. Sono dei paletti per cui è necessario che gli Stati si adeguino per poter essere certi di essere parte di un progetto, non nel senso dell’altezza, ma proprio di essere parte integrante, di dare un contributo fattuale e non essere da un certo punto di vista sfruttati. Poi ci sono nell’elenco paesi come l’Albania, la Macedonia che aspettano da un bel po’ di tempo, dieci anni o più, che stanno facendo dei buoni progressi. Adesso è tutto accelerato dalla questione Ucraina e lì è diventato complicato. A mio parere, accelerare l’adesione, non fa altro che alzare i toni, indebolire il processo di pace e di un eventuale accordo ed è anche una questione di rispetto nei confronti degli altri Paesi che già da dieci anni aspettano di entrare e che ne avrebbero anche più diritto. Questo, ovviamente, non vuol dire abbandonare l’Ucraina.
Per eliminare la dipendenza europea da Mosca, il premier ha proposto l’introduzione di provvedimenti di semplificazione per la produzione di energia rinnovabile e di stipulare accordi in Africa e Medio Oriente per i giacimenti di gas. La guerra porterà l’Europa a dipendere da altri Paesi o a renderla più green?
In quanto gruppo ecologista al Parlamento europeo premiamo per la seconda opzione, anche se vorrebbe dire spostare la dipendenza da un Paese dittatoriale ad altri paesi che oltre ad essere dittatoriali sono instabili, come Algeria, Libia, Congo, ecc.
Faremmo degli investimenti che sarebbero distorti da quelli sull’energia rinnovabile, sull’efficienza energetica per investimenti ancora nelle fonti fossili e quindi altri gasdotti, perdendo così altri anni preziosi. La proposta di un meccanismo simil Recovery Resilience Fund potrebbe essere una soluzione. Settimana prossima la Commissione europea darà delle raccomandazioni, secondo un progetto che si chiama “RePower Eu”, su come incentivare l’energia rinnovabile. Secondo noi se non bastava il cambiamento climatico per convincerci a spostare tutti gli investimenti sulle rinnovabili, speriamo lo faccia la guerra. Speriamo ci spinga in investimenti come il fotovoltaico, eolico, geotermico, ma anche nello stoccaggio, nell’idrogeno verde. Anche il PNRR attuale deve essere rivisto con semplificazioni maggiori. Negli ultimi decreti energia il governo italiano sta finalmente facendo queste semplificazioni, restano ancora tanti, però, i progetti fermi al Ministero della Cultura. Questo non vuol dire superare abbondantemente tutto ciò che è paesaggio e/o ambiente, vuol dire accelerare e tutelare. I sistemi ci sono, bisogna spingere su investimenti come le comunità dell’energia e il reddito energetico.