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L’euroscetticismo e il vincolo europeo

Il tema dell’euroscetticismo, e del suo legame con il vincolo europeo, è da sempre fonte di dibattito ed è tutt’ora una questione aperta.
Ne abbiamo parlato con il Professor Luca Micheletta, docente di Storia delle Relazioni Internazionali, presso l’Università Sapienza di Roma.

Cos’è l’euroscetticismo e come ha condizionato il processo di integrazione europea? 

L’euroscetticismo ha assunto modalità diverse nel tempo, ma è presente fin dalle origini della Comunità, quando la classe dirigente e l’opinione pubblica hanno assunto atteggiamenti critici e diffidenti nei confronti del processo di integrazione europea. Concepito in un’ottica non negativa, l’euroscetticismo non rappresenta una categoria astratta, ma un modo diverso di concepire e affrontare l’integrazione europea, attraverso scelte diverse da quelle proposte o imposte. Dunque, il diverso modo di guardare all’Europa ha sempre accompagnato la costruzione europea come risultato di un processo dialettico tra diverse idee dell’Europa. 

Qual è il significato del vincolo europeo?

Sin dalle origini del processo di costruzione dell’Unione, si sono affermati un Europeismo come “atto di fede” e un’integrazione europea come disegno ineluttabile, declinato in base alle necessità imposte dal momento storico. Talvolta ci si è soffermati sui temi di pace e sicurezza, talvolta sull’economia e i suoi benefici. Già dagli anni Cinquanta, e ancor più negli anni Sessanta e Settanta, quando si inizia a parlare di mercato comune e integrazione monetaria, l’esistenza di un vincolo europeo al quale adeguarsi si consolida. Viene strumentalizzato a tal punto che tutte le scelte adottate per adempiere agli obblighi derivanti dai trattati vengono giustificate con la formula “ce lo chiede l’Europa”, con la conseguenza di alimentare un sentimento di diffidenza e critica. Ad esempio, il partito comunista era contrario al mercato comune poiché si vedeva imposto un modello mercatista, capitalista e neoliberista che contrastava con la propria idea di modello socialista ed egualitario. Al momento della discussione del trattato di Maastricht il vincolo europeo viene considerato come una scelta obbligata, poiché era impensabile restare esclusi dal processo di integrazione. Inoltre, per alcuni, esso ha anche rappresento uno strumento di disciplina per un paese impossibile da riformare, la cui classe politica ha aderito con inerzia alle direttive europee, senza responsabilizzazione. Dunque, il vincolo europeo ha rappresentato una necessità e non una volontà di adeguarsi.

Quale episodio possiamo considerare una concreta espressione di euroscetticismo?

Il Trattato di Maastricht ha indubbiamente alimentato il sentimento euroscettico.
La creazione di un’Unione economica e monetaria ha imposto vincoli sempre più forti e numerosi, accrescendo l’opinione di coloro che già non vedevano di buon occhio il vincolo europeo. Agli Stati aderenti viene chiesto un maggiore impegno dal punto di vista dei vincoli da rispettare: ad esempio, il vincolo di bilancio al 3% tra il disavanzo pubblico annuale ed il PIL. Al riguardo, durante il dibattito nel Parlamento italiano sull’approvazione del Trattato di Maastricht e dei suoi criteri, solo il partito liberale si dimostrò a favore senza riserve. Altri partiti, anche ideologicamente lontani, espressero dubbi e critiche in merito. Secondo Massimo D’Alema, del Partito Democratico della Sinistra, il problema risiedeva “nell’inadeguatezza di un’Europa fondata sulla preminenza delle istituzioni monetarie e sull’illusione che l’integrazione economica possa affidarsi a puri e semplici meccanismi del mercato”. Per Carlo Fracanzani, esponente della sinistra democristiana, “occorreva tornare all’impostazione dei padri fondatori dell’integrazione europea, superando quella alla base del processo conclusosi a Maastricht che attribuiva all’unificazione monetaria ed economica la funzione guida della costruzione europea”. Si può affermare che l’intero dibattito non aveva come oggetto l’approvazione del Trattato, quanto piuttosto la necessità di iniziare i negoziati per la sua riforma.

Le istituzioni comunitarie hanno adottato misure per promuovere il ruolo dell’Unione Europea e, allo stesso tempo, comprendere meglio l’opinione dei cittadini europei in merito?

La Commissione Europea ha stanziato dei fondi volti a finanziare progetti di promozione dei valori dell’Unione Europea: il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Dal punto di vista della comunicazione, l’impegno delle istituzioni è sempre stato costante e deciso; si è anche adottato un programma, una vera e propria app interattiva, che dà la possibilità ai cittadini europei di fornire dei propri feedback sul funzionamento dell’Unione. 
Inoltre, parte dei fondi è destinata alla promozione del lavoro dell’Unione, al fine di diffondere una sana ideologia della stessa e acquisire maggiori consensi. Tutto ciò fa riflettere.
Ha senso che l’Europa intraprenda delle campagne di sensibilizzazione a favore del cosiddetto “europeismo”? Qual è il ruolo di coloro che non condividono le posizioni UE? Si tratta di individui da considerare necessariamente euroscettici o influenzati da altri sistemi? Un esempio è l’opinione generale sulla Guerra in Ucraina: chiunque non sostenga la posizione dell’UE è etichettato disinformato o influenzato negativamente. Questo vuol dire che chi la pensa diversamente dall’UE, si configura automaticamente come euroscettico?
Sono sempre esistiti modi diversi di concepire l’integrazione. Il dibattito tra europeisti e antieuropeisti rappresenta uno dei temi più articolati della nostra storia. E proprio alla luce di ciò è difficile prendere una posizione netta: ogni Paese ha il suo punto di vista, così come ogni individuo ha la propria opinione. 

Beatrice Colucci, Angelica Serani, Tommaso Pacifici, Beatrice Roscioli

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