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IL SISTEMA DEGLI SPITZENKANDIDATEN

Che cos’è il sistema degli Spitzenkandidaten e perché è importante nelle politiche europee? Che effetti ha avuto e quali potrebbe averne sulle elezioni del 2024? Lo abbiamo chiesto al Prof. Sandro Guerrieri, docente di Storia delle Istituzioni Italiane ed Europee e Storia delle Istituzioni Politiche presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’università La Sapienza di Roma.

In cosa consiste realmente il meccanismo degli Spitzenkandidaten, quali sono i vantaggi e gli svantaggi? Ed in che modo il sistema degli Spitzenkandidaten va a incidere nel sistema partitico europeo?

La procedura degli Spitzenkandidaten è nata in occasione della preparazione delle elezioni europee del 2014, sulla base di un’interpretazione estensiva della norma introdotta dal Trattato di Lisbona del 2007, entrato in vigore nel 2009, secondo la quale il Consiglio europeo propone al Parlamento un candidato alla carica di presidente della Commissione tenendo conto del risultato delle elezioni europee. Il Parlamento europeo, a cui spetta eleggere il presidente a maggioranza assoluta dei membri, ritenne che per dare una maggiore visibilità alle famiglie politiche europee fosse opportuno che esse presentassero i rispettivi candidati alla presidenza della Commissione. Cosicché, nel 2014, cinque forze politiche europee (PSE, PPE, Alleanza liberal-democratica, Sinistra, Verdi) decisero di presentare i loro Spitzenkandidaten (due nel caso dei Verdi). La questione va tuttavia inquadrata nel lungo processo di rafforzamento del legame politico tra il Parlamento e la Commissione. Sin dall’epoca della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio, nata con il Trattato di Parigi del 1951, all’assemblea parlamentare europea era stata assegnata una funzione di controllo sull’operato dell’esecutivo comunitario. Si è costruito così una sorta di rapporto fiduciario che si è intensificato nel corso del tempo ed ha portato, con i Trattati di Maastricht (1992) e di Amsterdam (1997), alla necessità dell’approvazione da parte del Parlamento sia del presidente della Commissione, sia dell’intero collegio dei commissari. Con il Trattato di Lisbona si è avuto il coronamento di questa evoluzione. La procedura degli Spitzenkandidaten è servita in questo quadro a rafforzare il ruolo dei partiti politici sovranazionali e a porre in rilievo la portata specificamente europea delle elezioni europee, in passato incentrate soprattutto su tematiche nazionali. La critica principale che ad essa è stata mossa è quella di introdurre una rigidità eccessiva nella scelta del nome che il Consiglio europeo deve proporre al Parlamento. 

Perché questo meccanismo ha funzionato per le elezioni del 2014 che portarono alla presidenza della Commissione Jean-Claude Juncker e non in quelle del 2019 che portarono all’elezione di Ursula von der Leyen? 

Nel 2014 i principali partiti europei si trovarono uniti nel chiedere, dopo le elezioni, che il Consiglio europeo si adeguasse alla nuova procedura e scegliesse di conseguenza, come nome da proporre per la presidenza della Commissione, lo Spitzenkandidat del partito che aveva ottenuto la maggioranza relativa, il PPE. Il Consiglio europeo accettò pertanto di indicare Jean-Claude Juncker. Il premier inglese Cameron e quello ungherese Orban erano contrari a questa scelta, ma si trovarono in minoranza. Nel 2019, lo scenario cambiò. Il PPE risultò nuovamente il partito di maggioranza relativa, ma il suo Spitzenkandidat, Manfred Weber, era più debole: per un verso, non poteva vantare una precedente esperienza ministeriale; per l’altro, aveva un profilo più marcato a destra rispetto al predecessore Juncker, e godeva quindi di un minore consenso all’interno dello stesso Parlamento europeo. Il Consiglio europeo, in questa occasione, non si è pertanto sentito vincolato alla scelta compiuta dal PPE e ha proposto, dopo un complesso negoziato, un altro nome, quello di Ursula von der Leyen, che comunque apparteneva alla stessa famiglia politica. Il Consiglio europeo ha quindi interpretato più liberamente il risultato delle elezioni, ma non se ne è discostato. 

Sarà possibile far funzionare questo meccanismo per le future elezioni del 2024?

Al momento i partiti europei sembrano animati da una certa prudenza sulla questione. Il PPE è in attesa del resto di sapere se Ursula von der Leyen intenderà proporsi per un secondo mandato. Nei prossimi mesi si vedrà se il meccanismo sarà o meno riconfermato, e in questo secondo caso con quale grado di convinzione. Dopo l’esperienza del 2019 le critiche si sono accentuate, sia da parte di forze politiche che, come i liberaldemocratici, attualmente non possono sperare di risultare primi alle elezioni, sia da parte del Consiglio europeo, che vorrebbe tener conto anche di altri fattori, come l’esigenza di garantire gli opportuni equilibri politici e nazionali per l’insieme delle nomine europee. Il fatto è che se da un lato la procedura degli Spitzenkandidaten è servita a mettere un po’ più in evidenza l’identità dei partiti europei, dall’altro ha sofferto del fatto di non essere stata accompagnata da altre misure che concorrerebbero a potenziare maggiormente questa identità, a cominciare dall’introduzione di liste transnazionali per l’attribuzione di un certo numero di seggi. Il Parlamento europeo ha approvato nel maggio 2022 una proposta volta a introdurre 28 seggi supplementari da assegnare sulla base di liste di questo tipo. Non sono molti, ma comunque già così si rafforzerebbe un confronto elettorale su temi prettamente europei.  

È vero che i cittadini degli stati membri hanno un senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni europee? Se sì, è sempre stato così o si è sviluppata negli ultimi anni? Infine, possiamo dire che l’intento del sistema degli Spitzenkandidaten era quello di rivitalizzare l’elettorato europeo, cercando di promuovere la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini europei tramite l’europeizzazione dei dibattiti, delle tematiche, delle questioni politiche, socio-economiche e istituzionali che accomunano tutti i popoli europei? 

Nel corso dei decenni si è passati da quello che è stato definito il “permissive consensus” nei confronti delle istituzioni europee a un sentimento più critico. Fino al Trattato di Maastricht, l’opinione pubblica guardava all’integrazione europea in linea di massima con fiducia, perché se ne percepiva il valore, ma il più delle volte anche con un certo distacco, a meno che non si facesse parte di gruppi professionali che avessero con Bruxelles un rapporto diretto (agricoltori, minatori e operai della siderurgia, beneficiari dei fondi strutturali ecc.). A partire dal Trattato di Maastricht del 1992 il rapporto è cambiato: le scelte compiute a livello europeo hanno avuto conseguenze sempre più dirette nella vita dei cittadini, e si sono sommate agli effetti del processo di globalizzazione. È necessario che i cittadini abbiano la percezione che il loro voto per il Parlamento europeo incida davvero sulle scelte dell’Unione, e la procedura degli Spitzenkandidaten era stata pensata in questo senso. Come ho detto, occorre però procedere con più decisione sulla strada della valorizzazione dei partiti, o dei movimenti, europei.  L’europeizzazione del confronto politico è inoltre essenziale per evitare che le scelte di politica europea vengano adottate sulla base di punti di vista prevalentemente nazionali, cosa che rende difficile, come nel caso della drammatica questione della gestione dei flussi migratori, giungere a una posizione condivisa. 

Arianna Bernardini, Flaminia Carangio, Mattia Furiazzi 

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