Relazioni esterne

Polonia: crisi dei diritti. E Bruxelles mantiene l’occhio vigile su Varsavia

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Il Partito di governo Diritto e Giustizia (Pis) a guida di Jarosław Kaczyński, ha presentato lo scorso 22 marzo una proposta di modifica sul Tribunale Costituzionale. Tra i punti della proposta: parità di età, per entrambi i sessi, di ingresso nel tribunale e il trasferimento dal ministro della Giustizia al Presidente del potere di prolungare il mandato dei magistrati giunti all’età della pensione, oltre che di nomina o destituzione dei presidenti dei tribunali. L’approvazione della legge però “causerebbe” la pubblicazione di tutte le sentenze del tribunale. Per tornare ad una situazione di normalità il Presidente dovrebbe far giurare, secondo la legge, i giudici scelti dalla Camera Bassa nella precedente legislatura (i cui posti oggi sono occupati dalle dai deputati del PiS. Se dovesse venire approvata, questa modifica avrebbe meramente carattere decorativo e non porterebbe dunque ad un effettivo cambiamento di rotta.

Un passo verso la normalizzazione dei rapporti

Restano le preoccupazioni dell’Unione europea sullo Stato di diritto in Polonia: dalle tensioni tra la Corte Costituzionale e il Governo (a seguito dell’approvazione della legge che prevede il controllo sui giudici) alla gestione del potere da parte di quest’ultimo, passando per il controllo sulla magistratura e la legge sull’aborto. Rimangono comunque i tentativi di conciliazione tra Ue e Polonia e ad oggi, quindi, sembra che le istituzioni europee abbiano fatto un passo in avanti molto importante nel tentativo di normalizzare i rapporti. Ora si aspetta la risposta del governo polacco di Morawiecki, nominato proprio per la normalizzazione dei rapporti con l’Unione. Ad ogni modo, sia il governo polacco che la Commissione europea hanno interesse ad operare un’inversione di rotta. La Polonia, per evitare di incorrere nelle sanzioni dell’Unione europea (dopo l’attuazione dell’articolo 7); l’Unione europea, invece, non vuole lasciare aperto il nodo polacco (in vista della scadenza del mandato nel 2019).

Le risposte dell’Ue

Alla fine di dicembre 2017, il Consiglio dell’Unione europea ha attivato la fase preliminare dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione, che può portare ad una sospensione dei diritti di voto del Paese all’interno dell’Ue. Di conseguenza, il Parlamento europeo, il 1° marzo 2018, ha votato a favore della proposta della Commissione europea di attivare l’articolo. La risoluzione con 422 voti a favore, 147 contrari e 48 astensioni, invita il Consiglio dell’Ue “a intraprendere un’azione rapida, in accordo con le disposizioni” previste dall’articolo. Inoltre, con la risoluzione il Parlamento chiede che sia pienamente informato dei progressi fatti e delle azioni intraprese nei vari passaggi della procedura. Ad oggi, la Commissione ha più volte messo in mora il Governo polacco, ma senza successo. Con l’invio di quattro raccomandazioni (tuttavia ignorate dalla Polonia), Bruxelles sembra essersi mossa con l’obiettivo di mantenere un occhio vigile sulla Polonia. La conferma viene anche dall’intenzione di invocare l’intervento della Corte di giustizia, avviando per avviare una procedura di infrazione contro la legge sull’organizzazione dei tribunali ordinari.

Con il Partito Diritto e Giustizia la Polonia va verso l’involuzione democratica

Sin dal 2015, anno in cui il PiS – il partito Diritto e Giustizia ultraconservatore e ultracattolico a guida di Jarosław Kaczyński – ha stravinto le elezioni presidenziali (a maggio con il candidato Andrzej Duda) e le politiche (ad ottobre con l’esecutivo prima a guida di Beata Szydło, poi dal dicembre 2017 a guida di Mateusz Morawiecki) nel Paese si è assistito alla formale adozione di provvedimenti legislativi di dubbia compatibilità con la tutela dei diritti umani, che si aggiungono agli emendamenti alla legge sul Tribunale costituzionale, invalidati dallo stesso Tribunale. Tra le norme sospettate non rispettare i diritti umani spiccano: la legge sui media, che mina l’indipendenza dell’informazione e accentua il controllo governativo su di essa; la riforma sulla televisione (che a gennaio ha messo in discussione la libertà di informazione e che si è aggiunta alle intercettazioni telefoniche arbitrarie (compreso internet) legalizzate dal 7 febbraio 2016; la legge che modifica le regole per la nomina dei direttori alla guida di tv e radio pubbliche, ponendoli sotto il controllo del ministero del Tesoro anziché sotto quello di un organismo indipendente. E ancora. Il ministro della Giustizia ha assunto anche il ruolo di procuratore generale dello Stato (azione che risulta incostituzionale secondo l’art. 10 della Costituzione polacca che codifica la separazione dei poteri), mentre il Presidente della Repubblica ha firmato una legge anti-terrorismo che consente un controllo indiscriminato nei confronti degli stranieri, oltre che un’ingerenza massiccia nei diritti alla privacy e restrizioni alla libertà sindacali e di riunione. Contemporaneamente si assiste ad una crescente chiusura delle frontiere, in linea con altri Paesi dell’Unione, e all’adozione di pratiche illegali che negano l’ingresso ai richiedenti asilo violando la Convenzione di Dublino. A peggiorare il quadro, la totale paralisi dell’azione del Tribunale costituzionale polacco, dovuta alla decisione delle autorità di non procedere alla pubblicazione delle sue sentenze, e perciò a renderle non pienamente effettive. Decisione che rende impossibile il lavoro di revisione della costituzionalità dei provvedimenti sopra descritti e, quindi, dell’osservanza stessa dei diritti fondamentali.

Le recenti riforme

Tra le ultime norme approvate, risaltano sicuramente: la legge sull’Istituto della Memoria Nazionale (meglio conosciuta come la legge sull’Olocausto o sui campi tedeschi in Polonia) definita parzialmente incostituzionale dal procuratore generale Zbigniew Ziobro, (che ne è stato tra l’altro uno dei promotori). La legge prevede che tutti i monumenti legati al comunismo, al nazismo o al fascismo vengano rimossi dai luoghi pubblici. Tuttavia, la legge non si applica ai cimiteri ed ai luoghi di sepoltura. Inoltre, è di questi ultimi giorni la notizia di voler proseguire sulla linea politica restrittiva per quanto riguarda la legge sull’aborto. La proposta, già presentata lo scorso anno e poi congelata a causa delle numerosissime manifestazioni, vuole vietare l’aborto in caso di stupro, di malformazione grave del feto e nel caso in cui la vita della donna sia in pericolo. Infine, la riforma della giustizia che dispone il controllo diretto dell’esecutivo di questi due organi. Le due leggi di riforma del rinnovo della Corte Suprema e del Consiglio nazionale della Magistratura hanno costretto due quinti dei giudici della Corte a dimettersi: la nomina dei giudici è stata così posta sotto controllo governativo, prevedendo l’istituzione di una commissione parlamentare con poteri di nomina.

 

Chiara Di Felice 

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