Interviste

Una Costituzione per l’Europa? “Abbiamo rinunciato a un forte sentimento di condivisione dei valori”. Parla il professor Sandro Guerrieri dell’Università Sapienza di Roma

costituzione europea

La crisi del 2008 ha provocato delle conseguenze non solo sul piano finanziario, ma anche sul piano identitario e della cittadinanza dell’Unione europea. L’idea di una Costituzione europea è stato uno dei progetti più ambiziosi che l’Unione ha tentato di portare avanti, soprattutto sotto la guida dell’allora presidente della Convenzione di Laeken, Valery Giscard D’Estaing, e dai due vicepresidenti, Giuliano Amato e Jean-Luc Dehaene. Oggi affrontiamo in particolare il dibattito attorno al tema di un’Europa più politica (se n’è parlato molto nel corso dell’ultima Conferenza The State of The Union a Firenze) e l’idea di una Costituzione rimane ancora un’ideale. Ne abbiamo parlato col professore Sandro Guerrieri, docente di Storia delle Istituzioni politiche italiane ed europee presso l’Università Sapienza di Roma, per spiegarci le ragioni di questo progetto tanto criticato e le cause del suo fallimento.

Professor Guerrieri, di recente il dibattito sull’unione politica dell’Ue si è intensificato, soprattutto in considerazione della riforma dell’Eurozona su cui si comincerà a ragionare dal prossimo mese. Ciononostante, l’idea di una Costituzione per l’Europa è spesso scoraggiata. Secondo lei quali sono state le ragioni che hanno portato ad introdurre, nel decennio scorso, un processo che doveva condurre ad una Costituzione europea?

Il processo di costruzione di una Costituzione europea nasce sulla base di una pluralità di fattori. Il primo è quello dell’ampliamento dell’Unione che si è registrato per una prima parte nei primi anni Novanta con il passaggio da 12 a 15 Paesi e all’inizio del decennio successivo, si è presentato in forma molto più ampia con l’ingresso dei Paesi dell’Europa centro-orientale. Per evitare che l’allargamento si traducesse in una sorta di diluizione delle istituzioni europee, così come erano state concepite a 6, si è pensato di rafforzare la coesione istituzionale. Il secondo fattore è stata la necessità di costruire una dimensione politica più ampia e forte che facesse da contraltare al rafforzamento dell’integrazione economico-monetaria che si era avuta con il Trattato di Maastricht.
In terzo luogo si è cercato di fornire all’opinione pubblica una più efficace base di riconoscimento valoriale e simbolico tenuto conto che, a partire dall’inizio degli anni ’90, si stava attenuando nei confronti delle istituzioni il cosiddetto ‘consenso permissivo’ (atteggiamento favorevole; ndr). Con la nascita di una dimensione delle istituzioni più incidente nella vita dei cittadini sono anche nati sentimenti di opposizione e di critica. E per venire incontro alle preoccupazioni dei cittadini, per mostrare che l’Unione europea non fosse solo un’integrazione economica basata sul libero mercato, ma avesse anche una dimensione identitaria, si è avviato un processo che doveva condurre ad una Costituzione.

Come fu accolta l’iniziativa dagli allora Stati membri?

La Convenzione europea sul futuro dell’Europa (organo creato dal Consiglio europeo di Laeken; ndr) per la formazione di un progetto costituente lavora dal 28 febbraio 2002 al luglio 2003 e mette a punto un progetto di Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa. Una volta approvato il progetto da una successiva Conferenza intergovernativa si doveva passare al processo di ratifica da parte degli Stati. Molti Paesi adottarono la via parlamentare di ratifica, ma alcuni decisero di seguire la via referendaria. Ogni Paese, non essendoci una normativa comunitaria a riguardo, ha la facoltà di gestirla a livello nazionale e in modo autonomo.
Questo ha portato ad un intreccio di elementi nazionali ed europei nei dibattiti referendari, impedendo la focalizzazione del discorso su scala europea, e mostrando, quindi, che la posta in gioco fosse solamente il rapporto del singolo paese con la Costituzione stessa.

Come mai, secondo lei, il progetto di una Costituzione per l’Europa non è andato a buon fine?

Di questi referendum, due sono andati a buon fine, in Spagna e in Lussemburgo e due si sono risolti in un disastro, cioè in Francia e in Olanda. Tra le varie cause si può individuare soprattutto per la Francia un timore relativo ad un impatto negativo sul piano sociale dell’integrazione europea. E un altro elemento è che in un contesto come quello della globalizzazione, l’Unione europea venisse vista come una sorta di cavallo di troia in grado di consentire alla globalizzazione di penetrare ancora più profondamente nella società dei diversi Paesi. Mentre su un piano identitario, si potrebbe dire che agli occhi di cittadini critici, il progetto di costituzione avesse un contenuto al tempo stesso troppo forte e troppo debole: troppo forte per questa sua dimensione simbolica e troppo debole perché a questa prospettiva non si offriva un tessuto in cui i cittadini potessero riconoscersi fino in fondo.

E quindi, soprattutto oggi, ci trasciniamo i vuoti e i risentimenti di un progetto morto sul nascere..

Abbiamo rinunciato ad introdurre con la Costituzione questo più forte sentimento di condivisione dei valori dell’Europa. Questa mancanza la si è sperimentata in termini negativi con la crisi economica scoppiata nel 2008. E l’assenza di un tessuto di vera condivisione ha fatto sì che le scelte fossero poi dettate spesso da posizioni e interessi nazionali e che nell’opinione pubblica non ci fosse nessuna sorta di solidarietà condivisa, ma anzi sorgessero sentimenti di ostilità reciproca.

 

Federica Sacco, Alessia Pandolfi, Ilaria Capparella

 

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