Interviste

Elezioni europee, Brexit, e sovranismi: intervista al Prof. Alessandro Vagnini

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Le elezioni europee del 23 e il 26 maggio si terranno in un clima di diffuso euroscetticismo. Ne abbiamo parlato con il prof. Alessandro Vagnini,  docente di “History of international and european relations” presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Sapienza, per comprendere meglio cosa potrà accadere e quale “Nuova Idea di Europa” potrebbe delinearsi.

Mai come ora l’Unione europea sembra essere sottoposta a critiche che tendono a sottolineare in primo luogo l’assenza di “democraticità” del percorso che ha condotto alla costruzione europea come oggi la conosciamo. La Brexit, il Gruppo di Visegrad, ma anche l’isolazionismo della Casa Bianca e, in generale l’accresciuta rilevanza dei movimenti “populisiti/sovranisti” quale ruolo stanno giocando?

Se i rischi insiti nella Brexit e nel generale contesto internazionale fossero percepiti come problemi e minacce comuni a tutti i membri, allora potrebbero essere uno strumento di rilancio dell’idea di unità europea. Osservando però la situazione attuale e il trend politico non mi pare di cogliere alcun chiaro indizio, in un senso o nell’altro. Forse l’unico modo per rinsaldare i legami europei potrebbe essere ricordare perché l’UE esiste, quali sono le reali alternative. Fino ad ora mi pare di cogliere il ruolo che l’UE è venuta assumendo nel gioco politico in tanti paesi membri per i movimenti populisti/sovranisti, ovvero quello di “nemico esterno”, origine di molti mali, utile scappatoia per tutti i problemi interni. Nulla di nuovo in realtà nella storia politica.

Nella prolusione all’inaugurazione dell’Anno accademico 2018-2019 in Sapienza, Giuliano Amato ha tracciato un excursus storico-politico che dall’idea di “nazione” e degli Stati che “uccidono l’Europa” (Péguy), ha condotto all’idea federalista di Kalergi, Rosselli, Spinelli, Rossi e Colorni, esortando a riporre speranza in un “nuovo europeismo”. A quale “nuovo europeismo” si riferisce? E la speranza che esso dovrebbe suscitare è destinata a rimanere tale?

Per il momento potrei dire che suonano più come frasi di circostanza. Non mi pare di vedere alcun nuovo europeismo, piuttosto una competizione tra diffusa ostilità e insoddisfazione da una parte e abilità nello sfruttare le risorse dell’UE dall’altra (il caso ungherese è emblematico, così come i tentativi di Macron di farsi portavoce di un rilancio che nella sostanza non mi pare corrisponda ad alcuna azione o visione comune, ma solo a un ennesimo rilancio dell’asse franco-tedesco). Anzi, aggiungerei che uno dei motivi per cui l’immagine dell’europa è così svilita in Italia è proprio l’assenza nel corso del tempo di una adesione assertiva all’Unione, sostituita dalle solite parole di circostanza. Poi ovviamente l’Unione ci mette del suo. L’unica speranza per il rilancio del progetto europeo sta a mio avviso nel dimostrare alle persone, anche e soprattutto a quelle meno informate, con fatti e nella pratica quotidiana che l’UE porta vantaggi concreti, che si possono riparare i ponti o le strade, che si possono sostenere i disoccupati, e così via.

L’assenza di un’adesione convinta all’Unione europea da parte di alcuni Paesi, la competizione tra la diffusa insoddisfazione da un lato e l’abilità a sfruttare le risorse dell’UE dall’altro, possono aver determinato l’esito del referendum sulla Brexit? Il 29 marzo 2019 la Camera dei Comuni ha rigettato per la terza volta l’intesa raggiunta dalla premier con l’Unione europea e ora un No-deal sembra essere lo scenario probabile. Cosa ne pensa?

A mio parere la questione della Brexit dipende dal particolare modo di vedere l’UE della politica e della società britannica. La posizione di Londra dai tempi della Thatcher è stata sempre diversa da quella degli altri membri. In più, sul referendum molto ha pesato la voluta disinformazione e una serie di luoghi comuni che, giocando sulle percezioni della popolazione, hanno vinto solo grazie al madornale errore di sottovalutazione (e alla limitata affluenza) da parte di coloro che erano favorevoli al remain. 

Una posizione, quella di Londra, da sempre molto “ambigua”. Una scelta dettata da preveggenza in un’ottica che oggi potremmo definire “sovranista”? In generale, è possibile affermare che la preminenza attribuita al fattore economico-finanziario su quello politico abbia giocato un ruolo importante nel decidere le sorti del futuro dell’Unione Europea?

Su questo punto sono piuttosto pessimista. Mi pare di scorgere essenzialmente due posizioni: coloro che sanno utilizzare (o possono) lo strumento europeo a proprio vantaggio e coloro che al contrario non sono in grado. Ad ogni modo, in entrambi i casi si tratta di percepire l’UE come strumento, mai come fine. 

Claudio Ciani

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