Coronabond, MES e crisi economica: intervista al prof. De Arcangelis

Nelle ultime settimane si è alzato il livello di scontro tra i Paesi europei divisi sugli strumenti da utilizzare per affrontare la profonda crisi economica dovuta all’emergenza Covid-19. Da una parte i Paesi favorevoli dell’adozione dei Coronabond dall’altra i Paesi favorevoli al ricorso al MES. A poche ora dalla riunione dell’Eurogruppo, abbiamo cercato di comprendere meglio la situazione grazie a un’intervista al Prof. Giuseppe De Arcangelis, ordinario di Economia Politica dell’Università di Roma “La Sapienza”.
Oggi, nel pieno dell’emergenza sanitaria dovuta al Codiv-19 si parla di Coronabond. In cosa differiscono rispetto agli Eurobond, proposti nella crisi economica a cavallo tra il 2011 e il 2012?
Bisogna innanzitutto dire che gli Eurobond sono molto diversi dai Coronabond di cui si sta parlando in questi giorni.
Per quanto riguarda gli Eurobond ci sono state una serie di proposte e ipotesi. Nel 2011/2012 si pensava ad una ipotesi di Eurobond in cui si voleva cercare di mutualizzare una parte del debito dei Paesi prendendo come baricentro la soglia del 60% stabilita dai parametri di Maastricht. Questa discussione è morta dopo poco tempo soprattutto perché non vi era consenso da parte dei Paesi nordici e in particolare, se lo guardiamo da un punto di vista politico, la Francia non era allineata.
I Coronabond sono qualcosa di molto diverso e anche qui ci sono molte proposte sul tappeto.
Per Coronabond si intende una raccolta di finanziamenti garantita da tutti i Paesi che ormai, nelle proposte più recenti, dovrebbe riguardare il finanziamento di alcune spese specifiche. Si tratterebbe perciò di finanziare un fondo dedicato interamente all’emergenza sanitaria che stiamo vivendo e di avere la mutualizzazione di questo prestito.
Anche in questo caso il ruolo della Francia sarà molto importante.
La Germania, ostile agli Eurobond, si è invece detta favorevole al ricorso al MES e agli strumenti esistenti. Ma in cosa consisterebbe un ricorso al MES anche senza “assurde condizionalità”?
In Italia quando si parla di MES si tende a fare un po’ di confusione. Il MES è semplicemente lo strumento tecnico per attivare una linea di credito particolare che non ha niente a che vedere con il fondo salva stati di cui si parlava quando – qualche tempo fa – è stato applicato alla Grecia.
In alcune proposte, il coinvolgimento del MES, per quello che riguarda l’emergenza Coronabond, è semplicemente un coinvolgimento tecnico poiché attivare una raccolta di finanziamento attraverso i Coronabond è qualcosa che richiede tempo.
Poi ci sono due difficoltà tecniche di fondo: delineare quale dovrebbe essere l’organizzazione che emette il bond che poi deve essere sottoscritto e quali sarebbero i Paesi coinvolti. Queste difficoltà non sono di poco conto perché uno degli elementi importanti della raccolta e poi dell’utilizzo dei fondi è la velocità, la rapidità con cui questo deve essere fatto.
Il MES offre la possibilità di essere già un’istituzione che può svolgere questo compito.
La discussione che affronteranno oggi nell’Eurogruppo è proprio basata su questo. I Paesi del Nord e la Francia vedono nel MES quello strumento tecnico che può riuscire a fornire il finanziamento che serve. Stiamo parlando di attivare una linea di credito a lungo termine – c’è chi propone addirittura 25/30 anni – al contrario del MES originario era stato creato per dare delle linee di finanziamento a breve termine ai Paesi in difficoltà che avevano un debito considerato in parte non sostenibile. L’attivazione del MES, come “fondo salva stati” permetteva ai paesi di utilizzare l’OMT (Outright Monetary Transaction) della BCE.
Pertanto, a suo avviso, il MES potrebbe essere lo strumento adatto per garantire un’adeguata rapidità di azione in risposta alla crisi economica che stiamo vivendo?
La mia opinione è che l’utilizzo del MES come strumento per avere rapidità di azione lo vedo con grande favore; sono appunto le condizioni che debbono essere messe sull’attivazione della linea di credito, sull’entità della linea di credito e sulla scadenza del rimborso del prestito.
Mi sembrerebbe del tutto assurdo rifiutare un prestito a lunghissima scadenza di entità sufficiente che passi attraverso il MES non mi sembra una cattiva soluzione per la situazione che stiamo vivendo, anche perché si tratterebbe di un prestito mutualizzato garantito da tutti i Paesi, un passo in avanti verso una mutualizzazione di una parte del debito europeo.
Dovremmo porci nell’ottica di comprendere le ragioni dei Paesi nordici e della Germania, i quali avendo messo in atto delle politiche di ristrutturazione, quelle così dette “di riforma”, hanno migliorato la propria performance economica in maniera diversa da quello che è stato fatto da altri Paesi come ad esempio l’Italia.
Devo dire che convincere anche gli altri Paesi ad avere una sorta di mutualizzazione del debito, sebbene su una linea di credito particolare, sebbene con delle restrizioni dell’utilizzo di questa linea di credito, esclusivamente per questioni di emergenza sanitaria, sarebbe comunque un primo passo.
Pochi giorni fa il commissario Paolo Gentiloni ha parlato di “MES strumento utile ma uno tra molti”. A suo avviso quali potrebbero essere gli altri strumenti?
Quando Paolo Gentiloni ha parlato “di uno tra tanti strumenti” indicava un po’ quello a cui stavo accennando precedentemente. Il MES può essere il veicolo attraverso cui attivare delle linee di credito straordinarie con determinate condizionalità del tutto diverse rispetto a quelle degli altri, ma il MES e la linea di credito che si dovrebbe attuare tramite il MES è solamente una delle possibilità di intervento a livello europeo.
Uno degli altri strumenti da tenere in conto è sicuramente il SURE da 10 miliardi di euro, un passo avanti importantissimo. Con SURE infatti parte dei sussidi di disoccupazione vengono direttamente dall’Europa.
Questa è una proposta sul tavolo da molti anni, se ne parla dal 2011/2012. Il ministro Padoan lo aveva già proposto a livello europeo ma poi era stato accantonato. Il fatto che in questa situazione si sia arrivati a finanziare e a pensare al SURE è estremamente importante; ci avvicina molto di più alla politica federale degli Stati Uniti, dove i sussidi di disoccupazione sono in gran parte finanziati federalmente e non a livello di singoli Stati.
L’altro strumento è il coinvolgimento della BEI, che ha un ruolo molto importante, trattandosi di finanziamenti che vengono dal livello europeo. Purtroppo se ne sa poco, ci sarebbe bisogno soprattutto attraverso il SURE di far vedere che l’Europa c’è non solo per tassare o solo per imporre regole assurde, ma anche come aiuto concreto a livello dei singoli cittadini. Se a casa dei disoccupati ad esempio arrivassero due assegni, uno della Cassa Integrazione Guadagni dello Stato italiano e un altro assegno con la bandiera dell’Europa direttamente da Bruxelles, già l’atteggiamento da un punto di vista comunicativo potrebbe essere molto efficace.
BCE e BEI hanno dato il via, la prima all’acquisto di titoli di stato, la seconda con il fondo di garanzia per le imprese a corto di liquidità, a mosse di sostegno alle economie degli stati membri. Come tutto questo si traduce in disponibilità immediata di liquidità?
Distinguiamo tra BCE e BEI. La BCE ha la responsabilità di fornire liquidità alle banche e poi, a cascata, le banche e gli istituti di credito dovrebbero fornirla alle imprese e ai singoli cittadini. Il problema centrale è quello delle garanzie attraverso cui poi si riesce a far arrivare questa liquidità.
Le banche, sebbene le regole di Basilea siano state in parte sospese, per poter prestare devono avere delle garanzie e in molti casi, soprattutto per il tessuto economico industriale italiano, le imprese italiane sono piccole e non sono in grado di fornire immediatamente queste garanzie. Mettiamoci anche che in questo momento sia ingiusto chiedere ad alcune imprese di dover fornire le garanzie che servono per accedere a questi finanziamenti. Di qui la garanzia dello Stato, che arriva fino a 400 miliardi secondo le misure varate nel Consiglio del Ministri.
La BEI è un’altra istituzione, è un ente privato, emette titoli per potersi finanziare e finanzia diversi progetti di investimento. Non è direttamente collegata al discorso della liquidità così come la BCE. La BEI potrebbe, come sta facendo lo stato italiano, fornire ulteriori garanzie. Questo potrebbe essere un altro ruolo della BEI. Oltre a avere un ruolo più attivo in quello che potrebbe essere il nuovo piano Marshall o il green new deal, dovrebbe avere un ruolo molto più importante e da questo punto di vista dovrebbe essere il braccio operativo-finanziario a livello europeo.
Molte testate giornalistiche hanno indicato l’Eurogruppo di oggi come il punto decisivo per il futuro dell’Europa. Secondo Lei è così?
Cerchiamo di avere un atteggiamento meno legato a scadenze così immediate.
Certo, alcune decisioni devono essere prese ma, come è successo tante volte in Europa, c’è bisogno di gradualità. Siamo paesi diversi e quindi ci vuole tempo anche per cercare di arrivare ad una maggiore condivisione di oneri e onori all’interno dell’Europa.
Quindi io non legherei il destino dell’Europa all’Eurogruppo di oggi, né a quello di un’altra riunione. Certo, in una situazione come quella che stiamo vivendo, la rapidità di intervento è fondamentale. Io credo che passi in avanti sono stati fatti, come il SURE o la decisione della BCE di fare sostanzialmente un quantitative easing senza limiti o ancora il coinvolgimento della BEI.
Se si utilizza il MES semplicemente come organizzazione in grado di dare rapidità a queste linee di credito, non ci vedo nulla di male, non siamo legati alle etichette, guardiamo la sostanza.
L’importante è arrivare a delle decisioni comuni che facciano capire che la condivisione di valori che abbiamo a livello europeo non è riscontrabile in nessun’altra parte del mondo. Bisognerebbe valorizzare la nostra storia comune, far capire quelli che sono i valori fondanti dell’Europa. Nessun’altra area del mondo infatti dà un valore così importante a quella che è la vita umana.