Brexit

Brexit: l’impatto sull’industria del tessile e della moda

A seguito dell’uscita del Regno Unito dall’UE, il governo di Londra si è trovato ad affrontare innumerevoli problemi che in parte aveva previsto, ma che probabilmente si sono manifestati in forma più marcata. Già da prima però, ci si interrogava sulle conseguenze che questa avrebbe comportato sul settore della moda. Un recente studio della LSE (London School of Economics), ha evidenziato che oltre il 61% delle imprese del settore ha subìto ingenti danni economici a causa dall’aumento delle barriere al libero scambio. Tutto ciò incrementato dalla crisi sociale ed economica causata dalla pandemia di Covid-19.

La voce del settore: “dalla Brexit abbiamo ricevuto solo danni”

Nel settore della moda i lavoratori hanno dovuto improvvisamente fare i conti con burocrazia, rallentamento dei processi di import-export e aumento dei costi di scambio e produzione. Dopo la protesta da parte dei musicisti, sono stati i lavoratori del fashion a farsi sentire, tramite la voce di Tamara Cincik, fondatrice del think tank “Fashion Roundtable”. L’iniziativa sta raccogliendo consensi ed appoggi, da parte anche di nomi importanti quali la stilista Vivienne Westwood. Questa protesta non è stata solo appoggiata da grandi stilisti e da proprietari di importanti attività commerciali inglesi, ma dai lavoratori dell’intero settore della moda, tra cui modelle, fotografi, produttori di tessuti e anche da chi, fino a pochi mesi fa, appoggiava la Brexit tra le file dei parlamentari.

Quali sono i principali problemi recati al settore della moda?

L’industria della moda, che in Inghilterra vale oltre 35 miliardi di sterline di fatturato l’anno sta rischiando, a detta dei lavoratori, un reale annientamento economico. Nelle settimane successive alla Brexit, il settore della moda si è trovato ad affrontare una montagna di burocrazia, certificati doganali, regole d’origine, controlli alle frontiere, ritardi ai confini e aumento dei costi di produzione. Nonostante fosse stato siglato alla fine di dicembre un accordo commerciale con Bruxelles per evitare l’imposizione immediata di dazi e controlli ai confini, questo è apparso inadeguato: l’essere giunti così tardi ad un accordo non ha permesso alle aziende di prepararsi e adeguarsi alle nuove regole. Inoltre, si sono presto resi conto che l’uscita britannica dal mercato unico e dall’unione doganale avrebbe imposto barriere non tariffarie, ma permanenti, agli scambi. In tal modo si è messo gravemente a rischio il futuro di un settore tra i più floridi e dinamici dell’economia britannica, che prima della pandemia cresceva a un ritmo dell’11% annuo. I problemi non riguardano solo le merci, ma anche le persone che lavorano nel settore: stilisti, modelle e fotografi ora necessitano di un visto per i Paesi europei in cui devono recarsi, causando ritardi e importanti aumenti dei costi alle singole imprese.

La reazione del governo britannico e i problemi degli studenti europei

Numerosi stilisti e importanti nomi del mondo della moda, con una lettera inviata al premier britannico Boris Johnson, chiedono un miglioramento della regolamentazione in materia. Secondo i lavoratori dell’industria, l’intesa raggiunta con l’Unione Europea dovrebbe prevedere la libera circolazione di beni e servizi per i settori creativi come quelli del lusso e della moda. Il governo non ha tuttavia risposto alla lettera, sebbene sarebbero necessari interventi tempestivi. Tutto ciò anche alla luce del fatto che Londra rappresenta il polo principale a livello internazionale delle attività commerciali delle case di moda e ospita i più importanti istituti di formazione professionale del mondo, tra cui la Central Saint Martins, l’Istituto Marangoni, le facoltà di moda dell’Università di Westminster e del London College of Fahion. Istituti che potrebbero perdere il loro fascino e prestigio internazionale, se il governo non adotterà misure tempestive. Gli studenti europei si trovano ora in difficoltà: con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, il programma Erasmus è infatti stato cancellato, ha annunciato Michel Barnier, capo negoziatore Ue per la Brexit. Inoltre, non godono più di agevolazioni fiscali riguardo le rette universitarie inglesi e si ritrovano a dover far fronte a tasse universitarie molto alte, al pari degli studenti provenienti dai Paesi extraeuropei. Questo innalzamento dei costi universitari potrebbe pertanto disincentivare la scelta degli istituti di moda inglesi da parte degli studenti europei.
Moltissimi stilisti di fama mondiale hanno fondato scuole di moda a Londra dopo avere studiato nella city britannica, facilitati dall’ambiente poliedrico ed internazionale della città stessa. Molti di questi istituti ricevono anche fondi dall’Unione europea, o meglio ricevevano: oltre alle difficoltà causate dal Covid-19, gli istituti e le imprese modaiole dovranno rinunciare anche ai finanziamenti europei. Secondo la maggior parte degli esperti, tutto ciò rappresenta un prezzo troppo alto da pagare.

Ludovica Onori, Livia Zaccaria

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