Il PD riparta dall’Europa: cooperazione e competizione nel contesto comunitario. L’analisi dell’On. Stefano Ceccanti

Le elezioni per il Parlamento europeo sono ormai alle porte. Mentre euroscettici e sovranisti cercano alleanze per mettere in discussione l’Europa stessa, il Partito Democratico, dopo la debacle delle ultime politiche, scende in campo con nuove idee per il futuro dell’UE. Ora che i sondaggi tornano a sorridere dopo la vittoria di Nicola Zingaretti alle primarie, il Partito Democratico riprende a guardare con fiducia al voto comunitario, puntando a risalire la china in Europa. Quali sono dunque gli obiettivi che questo rinnovato PD, in campo europeo, si prefigge di raggiugere? Lo abbiamo chiesto a Stefano Ceccanti, professore ordinario di diritto pubblico comparato e deputato del Partito Democratico in questa XVIII legislatura.
Le elezioni europee del prossimo 26 maggio saranno il primo banco di prova per la nuova segreteria di Zingaretti: quali sono gli obiettivi e le aspettative del Partito Democratico?
Io penso che le elezioni siano anzitutto europee e che la questione di fondo sia la tenuta di una rinnovata coalizione europeista nel Parlamento europeo. A questo fine penso che sia importante la tenuta oltre il 20% del Pd perché è obiettivamente la più consistente forza europeista che in Italia può contribuire a questo risultato complessivo. Assumerei questa visione, che mi sembra la più corretta, anziché quella di un test nazionale.
Crede che il manifesto “Siamo europei”, proposto dall’ex Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, possa essere la giusta risposta ai partiti euroscettici e fortemente sovranisti che, per la prima volta, saranno presenti in gran numero a questa tornata elettorale?
Penso che il manifesto di Calenda, capolista a Nord-est con Gualmini, abbia contribuito ad europeizzare la proposta del Pd, a dare più spazio alla specificità di questo voto, insieme alla opportuna ricandidatura di alcuni eletti che hanno ben figurato a Strasburgo e Bruxelles, penso anzitutto ai due nostri toscani Bonafé e Danti e a Gualtieri come ottimo Presidente di Commissione e ad altri candidati fortemente impegnati sul tema di una nuova sovranità europea che non elimina quella degli stati nazionali ma che vi si affianca ad esempio sugli aspetti fiscali e dell’immigrazione, come Morando e Tinagli a Nord-Ovest.
La mancanza di una politica comune riguardante la gestione dei flussi migratori è un elemento cardine per le destre sovraniste. Qual è la posizione e la proposta del Partito Democratico a riguardo?
Si tratta di un caso interessante. Nessuno sostiene che l’interesse nazionale italiano non esista o che debba essere un tabù. L’Europa è uno spazio di cooperazione ma anche di competizione. La questione migratoria, insieme a quella fiscale, dimostra esattamente che su molti aspetti l’interesse nazionale e quello europeo coincidono. Per un paese di sbarco più l’immigrazione è una politica europea meglio è, altrimenti, se si accetta una logica nazional-sovranista, tutto il problema finisce per ricadere sui soli Paesi di sbarco. Il punto è che, invece, per gli alleati di Salvini, come Austria e Ungheria, l’interesse nazionale è esattamente l’opposto del nostro. Si tratta di rivali da sconfiggere nell’interesse dell’Italia oltre che dell’Europa.
Come vede la partecipazione alle elezioni europee del Regno Unito dopo la recente decisione di posticipare la Brexit al 31 ottobre 2019?
Pur essendo una notevole complicazione, sia pure forse transitoria, mi sembra che sia una lezione: una parte della classe dirigente inglese ha vinto su un’opzione di principio la cui implementazione era ben più complessa di quanto non si fosse presentato agli elettori. Una lezione per tutti. Infatti da allora i nazional sovranisti puntano molto meno sull’uscita dall’Ue o dall’euro e molto di più su un ridimensionamento interno.
Austerità o politiche espansive: quale sarà la ricetta che il Partito Democratico porterà in Europa?
Il punto è la dimensione di scala dei processi. A quale livello va stimolata l’economia? Gli interventi nazionali sono poco efficaci ed in alcuni casi devono anche misurarsi con margini ridotti per l’alto debito pregresso. Solo un bilancio consistente della zona Euro più dell’intera Ue può svolgere questo ruolo. La zona dei Paesi che hanno scelto un’integrazione maggiore con la moneta comune deve trarne le conseguenze in termini fiscali e di bilancio oltre che di istituzioni comuni. Lo spazio dell’intera Ue è un livello diverso, ma non si può impedire a chi ha scelto una strada più impegnativa quella dell’Euro, di camminare su una strada più forte.