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Salvare l’Europa? Si può, con uno Sdoppiamento. Parola di Sergio Fabbrini

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Se c’è un modo per proseguire nel processo di integrazione europea, per il professor Sergio Fabbrini, la strada da seguire è quella di uno “Sdoppiamento”. Il termine, che dà nome al volume pubblicato per Laterza nel 2017, rappresenta una prospettiva per quella che potrebbe essere l’idea di un’Europa a due velocità, anche se non nel senso comunemente inteso. Sembra incredibile che rispetto a pochi mesi fa sia già così mutata la percezione di molti osservatori. Soprattutto a seguito della “Rivolta degli Otto”che sembra aver escluso l’opzione di una qualche chance all’integrazione diversa da quella intergovernativa. «Sì all’economia, no alla politica» è il motto dei Paesi nordici, capitanati dall’Olanda, che hanno reagito in maniera negativa alle proposte avanzate dalla cancelliera Angela Merkel e dal presidente Emmanuel Macron. Qualcuno potrebbe pensare che questo segni di fatto lo scacco matto a chi credere in un’Europa più unita, che dia alla moneta e all’economia un vero governo, responsabile di fronte ai cittadini e corrispondente alle loro preferenze. Ma forse è troppo presto per rassegnarsi.

Secondo Fabbrini, il Trattato di Lisbona ha sancito il metodo intergovernativo come quello dominante nelle scelte dell’Unione europea, abolendo i pilastri, ma conservando la pluralità dei regimi decisionali. Questo determina che le politiche strategiche prevedano un’integrazione attraverso il coordinamento volontario da parte dei governi: questo spiega perché durante le crisi multiple post-Lisbona non abbiano permesso il salto di qualità, ma l’inasprirsi delle tensioni latenti. E anche della “riscoperta” di interessi nazionali in contrasto con quelli europei. La Brexit, punta dell’iceberg di questo discorso, ha rappresentato una “crisi di disintegrazione”.

Fabbrini individua tre fratture interne all’Ue: una sistemica, una geopolitica e una relativa alla political economy. Ma per Fabbrini è da escludere una “Europe á la carte”. Quindi come si potrebbero sanare i cleavages che oggi portano ad un sostanziare stagnamento delle istituzioni intergovernative? Le ragioni della situazione attuale vanno ricercate, secondo il professore, nella confusione terminologica tra stato federale (disgregazione di un’organizzazione precedentemente unitaria) e unione federale (unione di stati in precedenza indipententi).

Nel capitolo “L’unione federale nell’Europa differenziata”, Fabbrini ritiene impossibile che da Stati indipendenti possa nascere uno Stato federale, mentre sarebbe possibile un’unione di questo genere. A testimonianza di questa opzione, cita il caso degli Stati uniti d’America, primo tentativo di andare oltre Vestfalia. La Convenzione di Philadelfia «spacchetta la sovranità statale senza cancellarla», spiega Fabbrini, e chiarisce che «la sovranità frammentata è inconciliabile con l’idea di Stato» tradizionale. Gli Stati Uniti, infatti, sostiene ancora Fabbrini, non sono uno Stato nazionale, ma un’unione che per funzionare non ha bisogno né di uno Stato, né di un governo.
Rimangono le perplessità sulla questione, per la quale non tutti sono d’accordo con questa impostazione. Nel suo libro, Fabbrini spiega che per l’Unione europea non è possibile replicare l’esperienza statunitense, ma si può comprenderne il metodo. Afferma, inoltre, che le federazioni per aggregazione non si sono formate attraverso uno sviluppo organico e perciò la differenziazione, date le premesse, va allora riconosciuta e formalizzata. Sempre secondo l’autore, l’Europa ha popoli diversi che non possono essere ricondotti ad un unico demos. Entra così in gioco una strategia della discontinuità attraverso la volontà politica dei membri dell’Eurozona. Per fare ciò, chiarisce ulteriormente Fabbrini, sarebbe necessaria una riforma delle istituzioni, in cui il Presidente dell’Unione sostituisca il presidente della Commissione e il presidente del Consiglio dei ministri (fusione, tra l’altro, non esclusa dai Trattati): il Presidente dell’Unione, in una forma di democrazia parlamentare, così condividerebbe il potere esecutivo con la Presidenza europea (attuale Consiglio europeo). Un modello che somiglierebbe al semipresidenzialismo francese.

Le conclusioni del volume di Fabbrini vengono dedicate all’Italia e in particolar modo alle necessarie riforme di government e governance per rendere il Paese all’altezza delle sfide europee. Fabbrini conclude pertanto con l’appello a “Ripartire da Ventotene” con lo spirito di un’unione federale che – spiega – non implica di per sé il trasferimento dei poteri statali al centro, ma la frammentazione dei livelli di governo.

 

Veronica Conti 

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