Vittoria dello Sinn Fein in Irlanda del Nord: quali conseguenze ?
Il 5 maggio 2022, lo Sinn Fein, il partito indipendentista, ha vinto le elezioni legislative in Irlanda del Nord. Con 27 seggi, supera i 25 seggi del partito unionista democratico, il DUP, favorevole al mantenimento in seno al Regno Unito. Sebbene simbolica, questa vittoria sta trasformando il panorama politico del paese, segnato da incertezze politiche e possibili tensioni post-Brexit.
Una vittoria storica e un terremoto politico per l’Irlanda del Nord
Per stabilizzare l’isola e preservare la pace, l’Irlanda fu divisa in due entità diverse nel 1922 : l’Irlanda del Sud, una repubblica indipendente che fa oggi parte dell’Unione Europea, e l’Irlanda del Nord, una provincia integrata nel Regno Unito con la Scozia e il Galles. Le tensioni tra le due comunità hanno portato a una guerra civile che ha segnato l’Europa per decenni.
Lo Sinn Fein è l’erede politico del gruppo paramilitare dell’IRA, che ha combattuto con le armi contro la presenza britannica in Irlanda del Nord. Questo risultato elettorale rappresenta un ribaltamento perché è la prima volta dalla creazione dell’Irlanda del Nord, che un partito indipendentista vinca le elezioni. Il risultato spinge Michelle O’Neill, leader dello Sinn Fein, a ricoprire la carica di capo del governo locale.
Verso un’unificazione tra Nord e Sud ?
L’indipendenza dell’isola non era il tema centrale della campagna elettorale, in quanto gli elettori più interessati al sistema sanitario e all’aumento del costo della vita. Ma lo Sinn Fein è stato fin dalla sua creazione un sostenitore della riunificazione dell’Irlanda. La presidente del partito, Mary Lou McDonald, ha dichiarato che un referendum sulla riunificazione dell’Irlanda potrebbe aver luogo nei prossimi cinque o dieci anni. Ma su questo punto, gli specialisti sono cauti. Il ministro britannico incaricato della provincia, Brandon Lewis, deve tecnicamente avviare il processo referendario. Nonostante ciò, i risultati della scorsa settimana e gli attuali negoziati sono attentamente esaminati da Londra, Dublino e Bruxelles.
Timori di una paralisi istituzionale e tensioni post-Brexit in Irlanda del Nord
Al centro delle tensioni politiche si trova il Protocollo nordirlandese. Negoziato tra Londra e Bruxelles, il protocollo introduce controlli sulle merci provenienti dalla Gran Bretagna. Il dispositivo doganale introdotto dal protocollo mira a evitare il ritorno di una frontiera fisica tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda ed evitare le tensione.
Questo piano è visto dagli unionisti come una minaccia sul ruolo dell’Irlanda del Nord all’interno del Regno Unito. Il leader del DUP, Jeffrey Donaldson, ha già annunciato il 9 maggio che il suo partito non parteciperà al governo e non sosterrà lo Sinn Fein se non verranno apportate modifiche al protocollo Nord-Irlandese. Secondo la costituzione, Il potere deve essere guidato congiuntamente da nazionalisti e unionisti in virtù dell’accordo di pace del 1998. Senza accordo, no governo.
Il paese rischia quindi una paralisi politica e istituzionale. Londra e Dublino hanno invitato nazionalisti e unionisti a unirsi in un esecutivo locale per garantire la stabilità della provincia britannica, ma per il momento nessun accordo è stato trovato.
Questa possibile crisi rappresenterebbe un ulteriore problema per Boris Johnson. La sfida per lui è di evitare le tensioni dovute alla necessità di affrontare nuovamente il protocollo nordirlandese, ancora attuale, nonostante le critiche degli unionisti. L’Unione europea ha già annunciato, per voce del primo ministro irlandese, Micheál Martin, che si rifiuta di fare concessioni e di rinegoziare l’accordo firmato dai conservatori.
La riunificazione Nord-Sud non è quindi imminente, nonostante questi risultati storici. Ma possiamo aspettarci nel futuro possibili tensioni politiche e istituzionali.