La Turchia e l’Unione europea: le relazioni e le prospettive di integrazione
Intervista ad Alessia Chiriatti: “Si è invece assistito ad un’inversione di tendenza, con il tentativo turco di riposizionarsi come attore fortemente assertivo per la risoluzione dei conflitti nelle aree considerate di interesse ”. Alessia Chiriatti è docente di International Relations and Global Politics presso l’Università di Perugia e teaching assistant of Contemporary History alla LUISS Guido Carli. Tra i suoi interessi di ricerca: politica estera turca, diplomazia, tecniche di negoziato e active learning nelle relazioni internazionali.
Rispetto all’attuale situazione di crisi ucraina, la Turchia sta tentando di assumere sempre più rilevanza nel contesto internazionale, anche ospitando i primi incontri ufficiali tra Russia e Ucraina. La posizione di centralità che sta cercando di mantenere, potrebbe agevolare una ripresa del processo di adesione all’Ue, ormai arenato dal 2016? E trovare uno spazio nell’Unione crede che possa essere ancora negli interessi della classe politica turca?
In effetti, già prima del 2016, alcune battute d’arresto rispetto al progetto di adesione della Turchia all’Ue vi erano state. Soprattutto riguardo ad alcuni dossier specifici che vedevano Turchia nettamente contrapposta agli interessi di Paesi come Grecia e Cipro, su questioni peraltro ancora oggi aperte. Dal punto di vista dell’Unione ci sono poi ulteriori problemi che riguardano la digitalizzazione, la trasparenza, i processi democratici in generale, fino allo svolgimento delle elezioni; tutto ciò che riguarda, di conseguenza, la “messa in pratica” dei diritti in Turchia. Il tentativo attuale sembra essere quello di riproporsi sul piano internazionale come un attore in grado non solo di fronteggiare le grandi fasi di crisi degli ultimi anni, ma anche di mostrarsi come l’agente pacificatore in grado di intervenire in maniera risolutiva nei diversi conflitti. La finalità ultima in quest’ottica sarebbe quindi quella di riacquistare una posizione di assoluta rilevanza negli equilibri internazionali dell’area. Tutta questa analisi non può essere peraltro effettuata senza analizzare anche quanto sta vivendo la Turchia sul piano economico, tenendo nella dovuta considerazione la crisi interna del 2018 ed il fatto che la guerra in Ucraina ha portato e porterà pesanti ripercussioni sul Paese. Tutto questo ci appare ancora più rilevante considerando non solo che la Russia è il terzo partner della Turchia dal punto di vista strategico, ma anche che la chiusura degli Stretti rischia di peggiorare ulteriormente le condizioni della Turchia, sia dal punto di vista economico che per quanto riguarda il fondamentale problema della sicurezza nel Mar Nero. In una situazione così altamente mutabile anche sul piano commerciale si è molto più restii ad avanzare iniziative ed avviare nuovi investimenti.
Questo atteggiamento non ha mancato di porre la Turchia in una situazione di difficile mantenimento degli equilibri tra Stati Uniti e Russia, situazione ulteriormente complicata dalla necessità di tenere conto anche dei rapporti storici che intercorrono tra Turchia e molti degli Stati europei.
La Turchia si caratterizza per essere un Paese cosmopolita e ospita sul suo territorio una molteplicità di culture ed etnie. Essendo l’Unione europea anch’essa uno spazio abitato da culture e tradizioni diverse, pensa che la Turchia possa essere in grado di avere un giorno un ruolo al suo interno? E le sue differenti tradizioni storiche potrebbero essere un freno in questo senso?
Quello che vediamo da alcuni anni a questa parte è che la Turchia è stata fortemente influenzata dalle tendenze turcomanne, collante importante soprattutto nei primi anni di governo dell’AKP (Partito di cui è stato fondatore Erdogan, ndr), e nella visione esterna della politica turca. E’ indubbiamente una questione identitaria ma non può non essere osservata anche sotto il profilo strategico, come una questione di opportunità politiche.
La figura del Presidente Erdogan è da sempre discussa e la sua politica interna è spesso oggetto di accesi dibattiti. Si sostiene che siano proprio le misure imposte dal governo ad aver messo fine alle ambizioni europee della Turchia in quanto non aderenti ai valori ed i principi promossi dall’Unione. Avendo studiato ed analizzato la politica turca ed i suoi policy maker, pensa che questa analisi possa essere corretta?
Direi di sì. La scelta del governo turco di non prendere più in considerazione buona parte dei parametri europei, così come di ignorare le richieste di un sistema maggiormente democratico (con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista dei valori e dello Stato di diritto), ha reso l’ipotesi di un futuro ingresso sempre più lontana. Tra l’altro, a fronte della situazione attuale, bisogna anche considerare come la Turchia stia cercando di recuperare una posizione che negli ultimi anni aveva perso: nei primi anni 2000 era stata infatti impostata una strategia di mantenimento di rapporti pacifici e di utilizzo, soprattutto, del soft power nei confronti del suo vicinato. Di recente si è invece assistito ad un’inversione di tendenza, con il tentativo turco di riposizionarsi come attore fortemente assertivo per la risoluzione dei conflitti nelle aree considerate di interesse (come accaduto ad esempio per il Nagorno Karabakh o in Libia e in Siria), generando non pochi attriti con molti dei partner europei.
Inoltre bisogna sempre tenere a mente, da un lato le dispute che coinvolgono la Grecia e Cipro, dall’altro il fatto che molte delle scelte del governo turco sono dettate da ragioni di politica interna e che quindi tenderanno a non cambiare nel breve periodo. In quest’ottica credo sia difficile che le strade intraprese dalla Turchia e dall’Unione europea si possano ricongiungere facilmente.
In questo senso già nel 2019 il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione in cui chiede alla Commissione ed al Consiglio di sospendere formalmente le trattative di adesione della Turchia all’Unione, esprimendo preoccupazione per l’erosione dello stato di diritto e la limitazione della libertà di stampa nel paese. Siamo di fronte ad un ulteriore segnale di un distacco sempre più profondo?
Esattamente, io credo che la domanda che dovremmo porci è se Erdogan e l’AKP abbiano effettivamente ancora l’intenzione di proseguire verso l’adesione all’Unione europea, questione che riguarda soprattutto l’agenda internazionale del partito. Dall’approccio alla politica estera del paese non sembra che tra i punti principali di interesse turco ci sia ancora quello di un ingresso nell’Unione. E questa posizione riscontra anche un certo appoggio da parte della popolazione turca che, nonostante fosse stata in parte sensibile ad un percorso comune con l’Unione europea, rispetto alle posizioni tenute dai governi degli ultimi due decenni, sembra supportare il tentativo della Turchia di giocare un ruolo da “battitore libero”.
E il cambiamento di rotta che conseguenze ha avuto per la politica interna della Turchia?
Le tensioni si sono riaccese con forza con l’inizio della crisi economica, con il Covid e, nelle ultime settimane, con quanto sta accadendo in Ucraina. In quest’ultima fase elettorale l’AKP ha perso molto sostegno, ha perso consenso ad Istanbul e ad Ankara, roccaforti importanti che erano state importanti basi di consenso. Inoltre, per contestualizzare, occorre anche tenere presente la condizione di parziale scontro interno all’interno dell’AKP. E in più ci sono state frequenti manifestazioni, con la conseguenza di azioni di polizia piuttosto rilevanti per arginare il dissenso o per impedirle del tutto.
La Turchia, considerata la sua posizione centrale tra l’Europa, il Medio Oriente e l’Asia Occidentale, ponte tra il Mar Mediterraneo ed il Mar Nero, svolge da sempre un ruolo politico particolarmente importante, tra cui quello di snodo centrale delle direttrici dei flussi migratori. Con l’attuale crisi internazionale alle porte, il paese potrebbe nuovamente ricoprire il ruolo di “paese terzo sicuro”, posizione già ricoperta attraverso l’accordo firmato con gli Stati membri dell’UE nel 2016 (EU-Turkey Statement)?
Attualmente vi sono varie proposte di riforma per quanto attiene al sistema di gestione dei migranti. Ovviamente il rapporto tra quest’ultima e l’Unione continua ad essere molto forte soprattutto dal punto di vista della gestione dei flussi migratori. La Turchia è infatti stata negli ultimi anni, non solo uno dei principali Paesi di transito di flussi migratori particolarmente consistenti, ma è stata anche la frontiera esterna di fatto per molti degli Stati europei. L’Unione ha infatti stanziato, in una prima fase, 6 miliardi di euro per la gestione dei campi profughi (peraltro questo non ha comunque impedito alla Turchia di chiudere e aprire le frontiere a seconda del momento e delle diverse contingenze). Per quanto riguarda i campi profughi presenti nel Paese le condizioni interne di vivibilità non sono ovviamente delle migliori, sia per la situazione in cui versa chi ne è “ospite”, sia perché comunque i fondi impiegati (anche europei) non sembrano essersi rivelati sufficienti a stare al passo con gli standard minimi che ci si attendeva fossero rispettati.
La Turchia, dopo gli USA, ospita il secondo esercito all’interno dell’Alleanza Atlantica. A suo parere, questo ruolo di considerevole rilevanza delle forze armate turche nella NATO, come si coniuga con i numerosi attriti politici sviluppatisi con molti degli altri Paesi dell’Alleanza?
Storicamente la Turchia è entrata nel ‘52 nell’Alleanza Atlantica, parte del fianco sud della NATO e in funzione anti-sovietica, per la “gestione” e il controllo di una parte dell’area Mediorientale. L’allontanamento che si sta verificando ha quindi radici molto più antiche e profonde, di almeno una ventina d’anni, rispetto alle dispute a cui stiamo assistendo. Nella visione dell’AKP in politica estera, si è scelto di intraprendere una strada meno filo-atlantica (la lunga questione degli F-35 ne è un esempio) e di imporsi come attore più autonomo, anche se senza nessuna intenzione di uscire dalle strutture NATO. E’ un gioco sul filo del rasoio per Ankara, che si trova certamente in una posizione pericolosa.